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Sabato mattina mi sono incontrato con Angela. Ci eravamo sentiti in settimana, con qualche messaggio e poi con qualche telefonata. Era diversa, o così la percepivo. A tratti la sentivo molto vicina, a tratti la sentivo più distante, come mi volesse allontanare. Sempre così con lei, tipo montagne russe. E per una volta non ero io a scappare. Non ero io a dare il ritmo alla cosa. Ne ero semplicemente in balia.

Mercoledì scorso, nel tardo pomeriggio, quando il sole era tramontato da circa un’ora ed il buio aveva preso possesso dei prati e del bosco, ha bussato alla porta della baita. L’avevo vista arrivare dal sentiero, o meglio, ne avevo seguito i raggi della pila che si muovevano disordinati nell’oscurità, fino a quando la sua figura era comparsa sul prato, diretta alla baita. Ero emozionato, ma spaventato. Nei giorni precedenti avevo a tratti deciso di lasciarla andare, di non pensarci più, di impormi di dimenticarla. Ma non ci ero proprio riuscito. Ed ora che veniva a fare?

Ho fatto finta di nulla, fingendo di non essermi accorto del suo arrivo e della luce che si muoveva nel buio. Ho atteso seduto in poltrona, con un libro in mano, che per quanto ero interessato avrebbe anche potuto essere tenuto storto e capovolto. L’ho accolta molto formale, guardingo come un animale diffidente. Lei era splendida, bella come sempre. Forse ancora più bella del solito, vestita di nero, con una sciarpa ed un giubbotto invernale di colore scuro.

“Ciao! Non mi aspettavo una tua visita”

“Ciao! brrr, che freddo fuori. E che bel caldo qui. Non preoccuparti, passavo di qui, solo per un saluto”. Nel frattempo si era tolta le scarpe, segno che avevo interpretato come l’intenzione di fermarsi. Aveva i calzini chiari, con dei cuoricini rossi, che risaltavano sull’abbigliamento scuro. Simpatici.

In realtà non ero troppo preoccupato, non più. Mi sembrava allegra e particolarmente bendisposta. Sicuramente non era salita per discutere e men che meno perché “passava di qui”. Visto che di qui, alle sei di sera, in pieno novembre, non passa proprio nessuno. Nemmeno i lupi di Sara.

Le ho offerto un thè, come ormai da nostra tradizione. Bevanda che ha accettato ben volentieri, anche per scaldarsi un poco.

“Come stai?” – mi chiede, facendo una pausa ma senza darmi il tempo di rispondere – “Avevo voglia di vederti, di sapere come stai, sempre tutto solo qui nei boschi”.

“Sto bene, grazie. Qui da solo sto bene. Anche se non sono solo, c’è Argo qui con me. Hai voglia di fermarti a cena?”

Nel frattempo si era avvicinata, mi fissava, sempre più vicina. Quando le sue labbra si sono avvicinate alle mie, bhe, mi sono svegliato ed ho capito che forse sarebbe stato il caso di darmi una mossa. Ci siamo baciati a lungo, con passione. L’ho sentita vicina, particolarmente vicina. Si siamo stretti, ci siamo fissati a lungo negli occhi, in silenzio, con tanto desiderio, per poi baciarci ancora. Ed ancora.

Siamo finiti sulla poltrona, io seduto, quasi spinto, con lei a cavalcioni. Ci siamo baciati a lungo, con passione, tenendoci la testa, passando le nostre mani tra i capelli, scendendo in basso, abbracciandoci.

“Che c’è? – mi chiede ad un tratto, nel modo che solo lei sa dirlo e guardandomi negli occhi.

“Le tue tette. Mi mancavano le tue tette”.

Ed ecco che lei si alza la maglia, rimane con la pancia nuda e si solleva il reggiseno. “Eccole. Erano queste che volevi?”

Ossignore. Mi ha fatto impazzire. Ci siamo baciati e strusciati a lungo. Ho sfiorato e toccato quel seno meraviglioso, bello sodo, che riempiva bene le mie mani, toccando quei capezzoli dritti ed in piedi come due bastoncini.

“Ora devo andare. Si è fatto tardi” – mi dice abbassando delicatamente la maglia e coprendosi quelle due meraviglie. Lo aveva detto quasi con rammarico, come dispiaciuta di dover interrompere quella serata che prometteva faville.

“Va bene, certo” – le rispondo sincero, dispiaciuto ma rispettoso della sua decisione.

“Mi dispiace. Avrei tanto voluto stare qui con te stasera. Magari anche stanotte, ma devo andare”.

“Quando ci potremo rivedere?”

“Potrei venire a cena venerdì. Che programmi hai? Cosa mi cucini di buono?” – era allegra, felice, spigliata. Aveva degli occhi splendidi, che brillavano come due gemme nella sera.

“Si, ottima idea. Ti aspetto venerdì, quando vorrai.”

Tempo di rimettersi le scarpe, di un fugace e veloce bacio volante, ed ecco che era già in camminino verso casa. Non mi è rimasto che osservare le luci della pila muoversi disordinate nel buio del bosco.

“Quanto la amo.” ho detto ad Argo. Non mi ha risposto, ha solo mosso la testa, inclinandola di lato, come se non capisse. O non volesse credere alle mie parole. Confuso come me.