Ieri sera sono uscito a fare un giro. Al tramonto. A piedi, con il fido Argo vicino.

In questi giorni, lontano dal lavoro e dal mondo caotico che vive costantemente correndo ed in affanno, mi sono ritrovato. Ho ritrovato me stesso. Non tutto, ma un pezzo importante, quello importante che mi regala tranquillità, lucidità e visione.

In questo strano periodo mi sembra di vivere sulle montagne russe, alternando momenti di vita frenetica a momenti di vita tranquilla. Un tempo volevo correre, sfondare ogni porta, superare ogni ostacolo. La meta e gli obiettivi venivano prima di ogni cosa.  Oggi vorrei fermarmi, riposare, concentrami solo sulle poche cose che contano. Dedicarmi solo alle persone che valgono qualcosa e che per me sono importanti. Questo è ciò che voglio e solo questo è quello che merita la mia attenzione. A tutto il resto, magari, mi dedicherò dopo.

Sono sempre stato convinto, probabilmente l’ho pure già scritto, che le motivazioni e gli obiettivi siano indispensabili per non perdersi, per non girare a vuoto. Capisco che riuscire a trovare la propria strada, la propria meta, sia una delle cose più difficili da fare. Viviamo sotto il fuoco incrociato di mille questioni, cose e persone, sempre sotto pressione e, soprattutto, in un mondo che corre troppo velocemente. Se ti fermi, ti raccontano, sei finito. E’ sicuramente più facile e meno faticoso farsi guidare dalla corrente, seguire i flusso. Si rischia, tuttavia, di farsi trascinare lontano, distanti dalla propria strada e dal proprio scopo. E recuperare la giusta strada, a quel punto, diventa estremamente complicato. Meglio farsi trascinare a caso oppure decidere la propria strada? Per quanto mi riguarda, la prima risposta non merita nemmeno di essere presa in considerazione.  Capisco di essere un’eccezione, in questo mondo popolato di masse ignare e ignave.

Quando rientro in montagna riesco a staccare. Arrivo al limite di sopportazione, quindi scappo e mi isolo in baita. Quassù mi sento lentamente rinascere. Come se avessi due vite. Una sola merita di essere vissuta, quella lenta, piacevole, serena della montagna. Ieri sera ho capito qualcosa di importante. Ho visto la luce. No, no.. nessuna illuminazione divina. Adesso vi spiego.

Ieri sera l’aria era fresca e frizzate, con delle ventate gelide che muovevano gli alberi e si intrufolavano rumorose tra i rami. Mi congelavano il viso. Il suono del vento tra gli alberi è qualcosa di meraviglioso, un fruscio che scorre forte e veloce. Che passa e se ne va.

Il bosco è ancora addormentato. Nonostante siamo già a metà marzo, la natura è molto in ritardo e la primavera stenta ancora a farsi vedere. Gli unici segni che preannunciano la fine dell’inverno sono le fegatelle viola che spuntano tra le foglie secche e qualche raro cespuglio di fiori gialli che ho visto lungo la strada salendo in baita. I prati sono ancora secchi e pochi alberi stanno già formando le prime gemme.

Ho camminato per circa mezz’ora, assorto nei miei pensieri e totalmente immerso nella natura e nei suoi rumori. Il vento tra i rami. I suoni degli uccelli notturni, che, probabilmente sbagliando, mi sembravano merli. Le scarpe facevano rumore calpestando le foglie secche e spezzando i rami secchi lungo il sentiero. Ogni tanto rumori di animali e schiocchi di rami secchi. Ma non ho visto alcun animale. Sicuramente molti di loro avranno seguito i miei passi.

Sono poi arrivato in un posto splendido, un prato che domina la vallata. In basso le luci della città. Della valle. Quante case, quante luci, quanta vita. Ed mi sono sentito così bene, in alto, al buio, solitario e tranquillo. Le luci mi davano piacere e tranquillità. Ho una passione per le luci. Quelle notturne.

Non mi sono fermato molto, tempo di scattare qualche foto. Ho ripreso la via di casa facendo il giro più lungo, quello che passa sopra al paese. Ho sempre amato e sono sempre stato attratto dalle luci delle case, al tramonto. Oppure all’alba. L’arrivo e la partenza della notte sono momenti magici, più che il buio della notte stessa. Fin da piccolo rimango affascinato dalle luci nelle abitazioni, non tanto in città, quanto nei luoghi più isolati, quelli con poche case, sparse e distanti tra loro. Mi affascina ciò che raccontano quelle luci. Abitazioni che si illuminano automaticamente al crepuscolo, magari solo i lampioni esterni, in attesa che arrivi qualcuno. Abitazioni che non si illuminano da tempo, magari senza più nessuno che abita le stanze. Abitazioni con le stanze tutte illuminate, case vivie, piene di gente, forse di famiglie con figli e bambini.

Dietro ogni luce immagino una storia. Vedo delle persone, delle vite. Costruisco delle favole, sulla base delle luci accese, dell’orario in cui si accendono e di quello in cui si spengono. Creo storie immaginarie anche per quelle case, tristi, che non hanno luci che si accendono. Perchè nessuno le illumina? perchè nessuno ci abita? Chi le abitava un tempo? Dove è finito? Quanto tornerà.

Nei posti più isolati, di solito in aperta campagna oppure in montagna, ci sono abitazioni isolate, con luci lontane che spiccano nel buio più assoluto. A volte ci sono i lampioni lungo le strade che conducono alle case. A volte, attorno è tutto nero.

Mi piace fermarmi ad osservare. Alcune volte, fortunatamente, la storia si anima. Accade quando nelle case si accendono o spengono le luci in stanze diverse. Oppure quando seguo i fari di un’auto lungo la strada che la condurrà a casa.

A volte mi imbarazzo da solo e mi sento in colpa, ma davvero non riesco a resistere, ma adoro guardare dentro le case, la sera. Mi piace scoprire cosa accade, vedere l’arredamento, osservare le persone che cucinano, leggono, si spostano, si muovono affacendate. No, non sono un guardone. Non faccio appostamenti, anzi, spesso vorrei rallentare per vedere meglio, ma la mia vergogna mi sposta ad allungare il passo per non farmi vedere che osservo. Ma mi basta uno sguardo. Basta un’occhiata per capire, comprendere, immaginare e far partire una storia. Una storia nella mia mente, con protagonista la persona illuminata.

Quando sono arrivato sul prato di casa ho provato piacere e soddisfazione: avevo acceso la luce esterna quando ero partito ed, all’interno, riuscivo a scorgere dalle finestre il rosso chiarore delle ultimi braci nel caminetto. Ho provato gioia e calore. Questo è il mio mondo e questa la mia dimensione.