Ho un sacco di cose da raccontare. Tante novità. Direi tutte piacevoli e curiose.
Questa settimana, tanto per cambiare, sono stato lontano per lavoro. Il trio dei cacciatori a salve mi aveva chiesto la disponibilità di sistemarmi lo spazio esterno della baita con l’aggiunta di qualche tavolo. In cambio ho promesso di lasciare loro, previa mia disponibilità, di organizzarci poi qualche evento o riunione. Non ho ancora ben capito le loro intenzioni, ma mi sembravano entusiasti ed animati dalle migliori intenzioni.
Sono rientrato giovedi notte, erano quasi le due, talmente stanco per il viaggio e le giornate di intenso lavoro che nemmeno ho fatto caso ai cambiamenti. A dir la verità nemmeno me ne ricordavo. O, forse, nemmeno mi avevano avvisato che avrebbero lavorato al loro progetto questa settimana. Vabbè, poco importa.
Ieri mattina mi sveglio piuttosto tardi, dopo una sublime dormita nel mio letto, nella mia baita, tra le mie montagne ed in mezzo ai miei alberi. Scendo pigramente le scale ed apro ad Argo, pure lui piuttosto dormiglione. Apro lo scuro della finestra sopra il lavello , quello che guarda la valle, quello verso sud e vedo qualcosa di nuovo: una terrazza in legno ed una lunga tavola, di almeno 10 metri. Incredibile!
Esco fuori scalzo ed ancora in maglietta e boxer rimango sorpreso dal lavoro fatto. I tre arzilli vecchietti hanno creato una sorta di terrazza di legno, lungo la parete della baita hanno costruito ed appoggiato al muro una lunga panca, di abete verniciato. Una lunghissima panca di almeno una decina di metri. Tutta esposta a sud, che quando ci si siede, con la schiena appoggiata al muro in sassi si può ammirare tutta la valle ed il panorama. Già questa era splendida. Ma la cosa ancora più spettacolare era il lungo tavolone di legno massiccio, largo oltre un metro e pure questo lungo almeno una decina di metri. La terrazza non ha staccionate, d’altronde non servono visto che è alta da terra una quindicina di centimetri ed oltre c’è solo prato. Lungo il tavolo sono stare fissate a terra due lunghe panche. Pure quelle in legno. Credo abete. Che spettacolo!
Sono corso dentro a vestirmi, a prepararmi la moka, ansioso di inaugurare il tavolo con la mia prima colazione. Sono davvero felice. Dovrò pagar loro almeno il costo del legno, visto il lavoro bellissimo che mi hanno fatto per la baita.
Ho fatto colazione, ho pranzato ed ho pure lavorato nel pomeriggio seduto all’esterno. Non ho il numero di telefono, altrimenti avrei chiamato Enrico, il capo branco.
Verso metà pe, dal bosco ho visto salire due persone, a passo lento. Due anziani, maschio e femmina. Ero seduto all’esterno e stavo leggendo un bellissimo libro di Marco Aurelio “L’arte di conoscere se stessi. Pensieri”. Ve lo raccomando, pur essendo stato scritto oltre 1.800 anni fa, tra il 170 ed il 180, è di un’attualità e di una bellezza incredibile.
I due anziani mi vedono, vedono la baita e lasciano il sentiero con l’intenzione di venire verso di me. Non mi sembra di conoscerli o di averli già visti in precedenza. Procedono lenti, lui davanti, attenti a dove mettono i piedi, ma con passo sicuro. Arrivati in prossimità della baita si fermano e mi salutano.
Il vecchio: “Buonasera, siete aperti?”
Non capisco la domanda, ma rispondo: “Buon pomeriggio, aperti di mentalità di certo”.
Argo corre loro incontro per capire chi siano, senza infastidirli e senza mostrarsi ne troppo affettuoso ne troppo guardingo, solo curioso e scodinzolante. La signora lo chiama ed inizia ad accarezzarlo sotto al muso, proprio dove lui adora, docile, essere toccato.
In breve, scopro che la baita, la terrazza ed il nuovo tavolo li aveva tratti in inganno, pensavano fosse un posto dove poter bere qualcosa. Li ho fatti accomodare ed ho detto che, volentieri, avrei offerto loro ciò che desideravano. Lui si chiama Aldo Vittorio e lei Anna. Sono di Novara ed amano le nostre montagne. Da sempre vengono in estate qualche settimana tra Trentino ed Alto Adige, e quest’anno hanno deciso di concedersi qualche giorno anche in primavera. Hanno visitato Trento e soggiornano a Levico Terme. Sono sposati da quasi sessant’anni ed il loro rapporto mi ha fatto quasi commuovere.
Lui è stato per anni un dirigente della De Agostini. Mi racconta che l’Istituto Geografico De Agostini nasce a Roma nel 1901, con il primo negozio vicino alla Fontana di Trevi. Si occupava di carte geografiche, ad esempio è loro la prima carta d’Italia dei primi del ‘900. Pochi anni dopo il gruppo si trasferisca a Novara, per essere più vicini alla Germania. Lui viene assunto a vent’anni per occuparsi della prima enciclopedia geografica italiana “Il Milione”. Abbiamo parlato del dopoguerra, del fermento economico e sociale che c’era a quei tempi. Del miracolo economica italiano. Di come tutto fosse bello ed a portata di mano. Eravamo noi il “sogno italiano”, altro che quello “americano”. Aldo Vittorio è un amabile chiacchierone, pieno di cultura e di aneddoti. Con la moglie Anna si conoscono proprio alla De Agostini. Lei era stata assunta come operaia. Un amore a prima vista, con i primi approcci fuori dal cancello dello stabilimento, con lui che la portava a Torino in Vespa. Una storia da romanzo. Da film della bella vita. Di un paese che non c’è più. Hanno avuto quattro figli, due dei quali sposati all’estero, che vedono di rado.
Quando mi raccontano della loro storia d’amore quasi mi commuovo. Sono ancora innamorati. Si percepisce e si vede. Gentili e premurosi. Sono di una stoffa e di una generazione diversa. Forse migliore. Cresciuta in una società che dava poco, uscita da due guerre mondiali, ma che credeva nella rinascita e ci metteva il cuore e l’anima. Aldo Vittorio mi racconta dell’importanza delle prime enciclopedie, acquistate a rate e tenute in casa come un tesoro. Tesoro di sapienza e conoscenza. Erano un investimento da tramandare di padre in figlio. Non c’era internet, quelle erano le fonti di informazione.
Abbiamo trascorso un pomeriggio molto piacevole. Abbiamo fatto una merenda-cena come solo in montagna si può fare, a base di salumi, speck e formaggi. Bevendo acqua e vino. Quelli più fighi la chiamerebbero apericena. Ma noi che siamo antici la chiamiamo merenda-cena.
Li ho salutati con la promessa di rivederci ancora. Torneranno a trovarmi.
Mi è rimasto in mente l’amore che ho percepito. Ho pensato che l’amore vero potrebbe essere questo, quello che dura una vita, che nasce giovane e resiste. Che permette di trascorrere una vecchiaia con la donna o l’uomo che ami. Probabilmente è l’amore più vero e puro, quello in cui ci si è donati la vita, magari allontanati nel corso degli anni. Ma, se resiste alla vecchiaia, ho il sospetto che potrebbe essere davvero splendido. Sicuramente lo è per i miei amici di Novara.
Come ultimo regalo della serata, ho scattato la foto del post. Sul prato davanti alla baita sono arrivati a pascolare la nuova erba, frutto della primavera e delle piogge delle scorse settimane, tre bellissimi cervi.
Alla fine basta così poco per stare bene.