Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all’improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata.

L’ha scritto Fëdor Dostoevskij, non proprio l’ultimo arrivato. Le filosofie orientali parlano di energia emanata dalle persone, di aurea, di frequenze che fanno vibrare anima e corpi come fossero una cosa sola.

Tempo fa avevo scritto un post riguardo alle aspettative. Oggi ci attacco questo: le cose migliori sono sempre quelle inattese. E bisogna imparare a lasciare che l’inatteso accada. Perchè porterà sempre bellezza e novità. Come tutte le cose inattese, improvvise e, forse, divine.

Tutto questo preambolo di quella che ormai definisco la mia filosofia da alpeggio era per creare la giusta atmosfera per ciò che racconterò oggi. E che non è altro che la continuazione del post di ieri. E, siccome sono banalmente bastian contrario e rovescio, ho preferito scrivere all’inizio le conclusioni. Se siete curiosi, proseguite la lettura. Se non lo siete, bhe, non capisco cosa vi spinga a leggere questo blog strampalato.

Bene. Iniziamo.

L’altro ieri, all’alba sono salito in alto, a vedere il sorgere del sole. Per rientrare in baita, siccome ero carico di energia e bellezza, ho deciso di scendere per una via sconosciuta, che girava lungo il versante opposto della valle. Un sentiero splendido tra gli alpeggi, con cavalli, mucche, pecore e capre. Sono poi arrivato sul retro della baita in cui avevo incontrato, o meglio, avevo immaginato di aver incontrato Lavinia. Ho detto ad Argo: “ok, ci fermiamo a riposare qui un momento“.

Non mi aspettavo nulla, men che meno che potesse spuntare dal nulla Lavinia, che si sedesse vicino a me, e che magari, senza alcuna parola, mi baciasse dolcemente. Ed infatti non è accaduto. Nulla di tutto ciò. Lavinia non è spuntata. Lavinia forse non esiste. E se anche esistesse, chi può ritrovarla? E perchè dovrebbe trovare me?

Alla fine mi sono seduto sul prato, con la giacca sotto al culo, ed ho tirato fuori il mio blocco verde in cui scrivo tutti i miei pensieri. Dal punto in cui ero potevo ammirare il cielo azzurro, i prati, gli abeti ed i larici verdi. Verde e azzurro. Non serviva altro. Non serviva altro per stare bene. Con me stesso. E con il resto del mondo.

Stavo così bene, sereno pacifico, ed ecco che quel momento magico viene interrotto da un grido, una risata ed una voce femminile che cantava. Dal sentiero che scende dal bosco, quello che avevo percorso poco prima, ecco che spunta una morettina. Ride e parla da sola. Anzi no. Canta da sola.

Me ne rimango in silenzio, sperando di non essere visto. Pure Argo, in esplorazione del bosco poco lontano, sembra non essersi accordo dell’arrivo improvviso della tizia. Sembra allegra. Sono combattuto tra il fastidio dell’intrusione rumorosa e la curiosità di poter osservare senza essere visto. Non che sia nascosto, e comunque ero qui da prima, ma sono in posizione defilata.

Lei si ferma sul prato. Si guarda attorno. Si sposta verso gli alberi e si sfila lo zaino dalla schiena. Si china, lo apre e ne estrae una coperta di colore blu, un plaid scozzese dai toni del cielo. Lo sistema a terra. Poi tira fuori un libro, sposta lo zaino e si sdraia utilizzandolo come cuscino. Non riesco a vedere il titolo del libro. La copertina è bianca, come se avesse lasciato a casa la sovracopertina. Interessante. Lo faccio sempre pure io. Poi apre il libro, tira fuori dalla tasca una penna ed inizia a leggere. Non si è accorta della mia presenza.

Mi sdraio pure io. Al mio posto, ma in posizione tale da poterla osservare. Legge avidamente. Con interesse. Spesso si sofferma e sottolinea, scrive sul libro. Appoggia il libro sul petto e guarda in alto. Immagino che stia riflettendo su ciò che ha poco prima letto. Chissà che libro interessante. Muoio dalla voglia di sapere cosa stia leggendo. Non mi sembra stia studiando. E quello non è un libro di studio, quello è un romanzo.

Il sole è alto nel cielo. Il pomeriggio sta volgendo al termine. Il cielo è sereno verso la valle ma verso le cime si stanno affacciando nuvole grigie e scure. Ogni tanto da dietro le montagne si sentono gli eco di tuoni lontani. Non riesco ad alzarmi per riprendere la via di casa. Sono curioso di questa tizia, che cammina da sola cantando per la mia valle, che si ferma sui prati a leggere. La osservo bene. Si è sfilata gli scarponi ed indossa un paio di calzini colorati che luccicano al sole quando muove le gambe. Sono di colore blu. Quei calzini mi attirano un sacco, così luccicanti. Sono proprio quelli della foto del post. Un’immagine rubata. Perchè tanto rubare baci e immagini belle non è reato.  Indossa, mi sembra, un paio di pantaloncini bianchi ed una t-shirt nera senza maniche. Ha due belle gambe sensuali e magre, abbronzate. Ha i capelli castani, raccolti. Molto carina nel complesso. Non riesco a capire la sua età, ma sembra più giovane di me. Forse tra i 30 ed i 40. Non riesco a vedere bene il suo viso. Comunque si, sembra molto carina.

Ad un tratto Argo la vede e le corre incontro. Lei non se ne accorge subito ma quando ne vede l’ombra che le arriva addosso, caccia un piccolo urlo e si butta di lato, proteggendosi con il libro. Argo si ferma improvvisamente. A circa cinque metri. Non capisce la reazione. Nemmeno lui, forse, si aspettava un movimento brusco.

Sono indeciso se richiamarlo, se intervenire, ma mentre decido cosa fare, le cose si risolvono da sole. Lei guarda il cane. Appoggia il libro sulle gambe e lo chiama, allungando una mano. “Vieni cane. Vieni qui. Dai, forza. Non avere timore”.

Ha una bella voce. Timore. Strano termine. Non paura. Timore. Ha usato timore.

Ed Argo inizia a scodinzolare inarcando la schiena, come fa nelle migliori occasioni. Come l’ho visto fare solo con me. Maledetto schifoso. Puttanella di un cane. Le si avvicina ed inizia a farsi accarezzare sotto al muso. Lei le sta parlando, lui sembra gradire, ma non riesco a sentire cosa le stia dicendo. Lui sembra felice. Poi lei alza lo sguardo, probabilmente cercando il padrone, immaginando che sia in arrivo lungo il sentiero. E solo allora mi vede. Ed io la vedo. Ci vediamo. Ci troviamo con gli sguardi.

Non so cosa dire. Faccio un gesto, aprendo le braccia, come per dirle “non è colpa mia, perdona il mio cane”. Lei sorride e mi risponde allo stesso modo, aprendo le braccia come per dire “pazienza, non è un problema”.

Mi allungo, prendo gli scarponi e li indosso. Non ho tempo di legarli che già sto camminando verso di loro lungo il prato. Mi rivolgo prima ad Argo, che mi guarda e poi torna a farsi accarezzare: “Hey, Argo, ma non ti vergogni? sembri una cagnetta svergognata”

La guardo in viso. Un tuffo al cuore. Un bellissimo viso, particolare, unico. Due occhi castani con uno sguardo allegro, vivo, intenso. Dei denti bellissimi da pubblicità Colgate su una bocca da pubblicità rossetto Chanel. Un sorriso radioso. Avrà circa una quarantina d’anni.

Non preoccuparti, mi ha solo spaventata quando è corsa qui. Ero assorta nel libro ed ho solo visto un’ombra che correva verso di me. E’ un cane bellissimo.”

“Si. E’ anche disubbidiente, fa sempre ciò che vuole, ma è anche molto buono e simpatico.”

“Argo si chiama. E tu non sarai mica Ulisse…”

“Se tu ti chiami Penelope, certo, io mi farò chiamare Ulisse”

“Potrei anche chiamarmi Penelope, certo. E credo pure che questa conversazione stia prendendo la piega di una vera e propria odissea….”

Simpatica la tizia. Ci siamo messi a ridere. E dentro di me ho capito che: 1) era molto carina 2) era colta e dotta, amava i libri e la letteratura 2) amava gli animali 3) era piuttosto vispa.

“Comunque, piacere, io sono Dafne.” – allungando una mano e rimanendo seduta a terra.

“Il piacere è mio. Mi chiamo Adam. Bello il tuo nome. Antico e raro”

Si, hai ragione. Dafne era un personaggio della mitologia greca. Era una Ninfa, la ninfa dei corsi d’acqua, delle fontane. dei ruscelli e delle sorgenti. Si narra che Apollo si fosse perdutamente innamorato di lei. Non ricambiato. E lei iniziò a fuggire e per nascondersi si fece trasformare in pianta di alloro. Da quel momento ad Apollo non rimase che indossare sempre sul capo una corona di alloro”.

Questa storia non la conoscevo. Sapevo che Dafne era una ninfa amata da Apollo, ma non conoscevo la storia intera. Grazie di avermela fatta conoscere.

Alle nostre spalle i tuoni si facevano sempre più forti e minacciosi.

E cosa stai leggendo di bello, se non sono indiscreto?”

E’ un libro che mi è stato regalato questa primavera. Molto molto bello. Di grande ispirazione. Si chiama L’Amore nasce eterno, di un autore che non conoscevo, tale Antonino Tamburello”

Tamburello. Si lo conosco. Ogni tanto vedo qualche suo video su YouTube. Non ci crederai, ma quel libro l’ho terminato di leggere solo qualche settimana fa. L’ho divorato. E concordo con te, molto ispirante. Dovrebbero farlo leggere a tutti, prima di innamorarsi.”

Ma questo sarebbe impossibile”

Perchè sarebbe impossibile?” – ero molto curioso di sapere le ragioni di questa sua certezza. Mi piaceva la sua prontezza. Aveva una lingua lunga. Sapeva le cose. E dava l’idea di essere molto colta. Probabilmente era un’insegnante di letteratura.

Perchè nessuno di noi decide quando, come e, soprattutto, di chi innamorarsi. L’amore è un mistero. L’amore è un sentimento magico, divino ed assoluto. L’amore arriva quando cupido decide di scoccare le sue frecce.

Cavolo. Colpito ed affondato. Colta, preparata, bella, diretta e decisa. Un bagliore ed un tuono forte da far tremare la terra ci tolse dai nostri pensieri. E subito dopo, ecco le prime gocce. Dei goccioloni così grandi che uno solo avrebbe potuto bagnarci come sotto una doccia.

In tutta fretta si rimise gli scarponcini da montagna, mise via il libro, avvolto nella coperta, e tolse dallo zaino un poncho di colore blu. Nel frattempo aveva iniziato a piovere bene. Tornai verso il mio zaino, pure io indossai la mia giacca verde militare, quella rubata al battaglione alpini edolo al termine dell’anno di militare. Trent’anni che mi accompagna nelle gite in montagna. Miliardi di gocce ha sopportato.

“Dove sei diretta? devi scendere in paese? – le chiesi guardando in alto il cielo che nell’arco di pochi minuti era diventato nero come la pece. Aveva iniziato a piovere forte, per fortuna senza lampi e fulmini, pericolosi in montagna.

Si, ho una stanza all’hotel Posta. Temo ci arriverò fradicia”

Seguimi, scendiamo assieme. Io abito a pochi minuti da qui, sono di strada. Casomai puoi fermarti un attimo da me, nell’attesa che passi il temporale”.

oh, volentieri. Sarebbe splendido”

Dentro di me, ho pensato che si, sarebbe davvero splendido.. se il temporale potesse durare almeno due tre giorni. Magari pure una settimana.

Ed eccoci, con Argo, a correre lungo il sentiero. Ridendo sotto il temporale. Con al fianco una splendida donna appena conosciuta. Che era come se conoscessi da sempre. Basta poco per essere felici. Basta l’incontro giusto. La freccia giusta.