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Pensavate che fosse finita così? che potessi davvero lasciarvi in sospeso, senza raccontare come è proseguita la serata con Dafne? Dove eravamo rimasti?

Ci eravamo lasciati in baita, al riparo dopo una fuga dagli alpeggi sotto un vero e proprio diluvio. E’ arrivato il buio della sera e ci ha colti a chiacchierare amabilmente ed intensamente seduti al calduccio. Improvvisamente, come se il tempo fosse volato, ci siamo resi conto che fuori era buio pesto, che la pioggia era cessata e che avevamo pure fame.

Che tardi! devo andare. E’ buio. Ma che ore sono?

In baita non avevo orologi appesi e lei, per la prima volta nell’arco del pomeriggio aveva guardato il telefonino. Buon segno, ho pensato. Nessuno da avvisare, nessun messaggio da leggere, nessuno a cui scrivere. Ero forse geloso? Geloso di chi? Geloso perchè? No. Nessuna gelosia. Ma in cuor mio temevo il momento in cui mi avrebbe confessato che il suo compagno la stava aspettando. Non aveva la fede al dito. Questo lo avevo notato. Come avevo osservato a lungo, sperando di non essere scoperto, le sue mani e le sue dita. E le sue unghie. Mani magre e affusolate. Dita lunghe e con lo smalto rosa pallido. Unghie vere, non finte, lunghe quella misura giusta che significava che con le mani ci lavorava. Magari utilizzava il computer, oppure era abituata a sbrigare le faccende domestiche, ad arrangiarsi a casa. Provavo una voglia incredibile di avvicinare la mia mano alle sue. Di sfiorarle. Di sentirle la pelle. Di provarmi che era vera, in carne ed ossa, e non un’altra illusione come Lavinia.

Sono le sei e mezza. Ma non hai fame? rimani qui ancora un attimo, mangiamo qualcosa – non credo di avere molto – ma abbi fede che qualcosa riusciamo a mettere sotto ai denti”

Era un tentativo inutile. Senza speranza di successo. Ovviamente mi avrebbe detto che era tardi, che era buio, che grazie, ma preferiva ritornare in hotel.

Si! ho proprio fame. Posso darti una mano. Cosa mangiamo di buono?

Ossignor! Aveva davvero risposto così? Aveva detto di si? Non stavo sognando?

Non me lo sono fatto dire due volte e mi sono alzato, subito seguito da lei: “Dai che ti do una mano!”  Bella, colta, simpatica, affamata, piena di iniziativa e con le idee chiare. Una meraviglia che sapeva bene chi era e cosa voleva. Ed era qui con me.

Vediamo cosa nascondi in frigo” lo aveva detto aprendo lo sportello. Incredibile. Una donna incredibile. La guardavo e non capivo come potesse essere una mia coetanea. Una splendida cinquantenne. Il viso così bello. Il corpo così in forma. Due gambette lunghe e magre, perfette.  E due tette da paura. Impossibile non farci caso e non notarle. No, non si dice seno. Seno è da referto medico. Il mondo parla di tette. Tette. Viva le tette. Tette. Sono così. Due. Due T. Due tette.

Il frigo, come sempre, non nascondeva nulla di preparato. Avevo uova, latte, formaggi della malga vicina, affettati vari, salame, uno speck meraviglioso di un contadino della zona, kaminwurtz, wurstel, insalata, pomodori ed un cavolo capuccio.

Sai di cosa avrei voglia? di dolce e salato. Di omelette ed affettati. Ti piacciono le omelette?” – 

Buone! si si, mhmmm, buona idea!”

Mi sarei aspettato che mi chiedesse cosa sono le omelette, non che rispondesse si, buone, mi piacciono. Che donna sorprendente!

Ho preparato l’impasto: farina, un pizzico di sale, due uova e latte quanto basta per raggiungere quel grado di densa liquidità. E poi, a seguire,  il tocco segreto, l’ingrediente magico, un goccio di grappa, che dava profumo e morbidezza alla frittata. Non grappa normale, ma la diciotto lune. Speciale e profumata. Nel frattempo Dafne aveva preparato la tavola, chiedendomi dove avrebbe trovato la tovaglia ed i piatti. Poi si era preoccupata di tagliare formaggi ed salumi, mettendoli su un tagliere in legno che nemmeno ricordavo di avere. Sembrava la tavola di un ristorante. Aveva riempito la brocca d’acqua e le aveo chiesto di aprire una bottiglia di vino. A sua scelta. Aveva scovato ed aperto una bottiglia di Lagrein altoatesino, della zona di Gries. Se ne intendeva anche di vini. Unico appunto, che non poteva immaginare ci fossero in baita, le avevo chiesto di recuperare dalla credenza due calici. Perchè il vino, si deve bere nel suo bicchiere. Ed il suo bicchiere è il calice. Su questo non si transige.

Abbiamo mangiato omelette, con il formaggio sciolto, con lo speck, con il salame, con la marmellata di albicocche, di fragole e di frutti di bosco. Dafne aveva voluto aprire, su mia insistenza, quella di arance, che avevo preso a luglio in Sicilia. Io me n’ero mangiata una con il miele di acacia.Prima dolce, e poi salato. E poi ancora dolce. Il tutto innaffiato da vino, chiacchiere e tante risate. Si era creata un’intimità magica e indescrivibile. Era come se due amici di lunga data si fossero ritrovati, per caso, dopo qualche decennio. Mi ha raccontato di lei, dei suoi amori. Non ho osato chiederli se era occupata, se avesse qualcuno ad aspettarla a Verona, se fosse innamorata, se il suo cuore fosse occupato da qualcuno. Non aveva senso. Il momento era speciale e andava vissuto e goduto senza troppi pensieri. E le cose belle vanno assaporate, centellinate, vanno vissute con calma, senza correre, senza pensare troppo, senza andare troppo avanti con la fantasia.

Verso le undici mi ha aiutato a riordinare e sistemare. Nel frattempo i suoi vestiti si erano completamente asciugati. Mi ha chiesto di poter andare in bagno a rivestirsi e quando è uscita indossava ancora la mia t-shirt blu.

Questa posso tenerla? Mi ricorderà di te. Mi manca una camicia da notte blu.

Mi sono sciolto. Incapace di comprendere la bellezza ed il significato di questa strana richiesta. Che faceva tanto intimità e complicità. Ed aveva un retrogusto di grande sensualità. Ma non volevo andare oltre. Per oggi avevo già avuto il massimo. Tutta la gioia che in una giornata è possibile prendere.

Siamo usciti assieme, con una pila e due frontalini. Si era tenuta addosso anche mia felpa nera, perchè aprendo la porta, la notte era fresca e pungente. L’ho accompagnata in paese, guidandola lungo il sentiero nel bosco, che conosco molto bene.  E’ stato bello e romantico. Due volte ci siamo tenuti per mano, una scusa per aiutarla a superare un punto difficile. Che non era affatto difficile, ma di notte avrebbe potuto forse essere insidioso. In realtà ho avuto la certezza che pure lei stesse cercando la mia mano. Un contatto. Un lembo ti pelle per sentire di cosa eravamo fatti. Intimo, naturale, fanciullesco. E sensuale.

Arrivati all’hotel ci siamo guardati, con un velo di imbarazzo, che forse non era nemmeno tale. Era una sorta di timidezza. Di timore di fare una mossa azzardata che avrebbe potuto far calare una piccola ombra su una serata memorabile. Alla fine si siamo guardati. Negli occhi. Come abbiamo fatto per tutta la sera.

Allora grazie. E’ stata una giornata splendida. Speciale. Tu sei speciale.

Grazie a te. Ti aspetto in baita. Magari passa a trovarmi e salutarmi prima di andartene. Non ti definirei speciale. Piuttosto sei magica. Decisamente magica.”

“Bene. Allora ciao. Grazie. Buona notte.”

“Si, certo. Buona notte anche a te. Fai bei sogni”

E ci siamo lasciati così. Senza un tocco. Senza un bacio. Senza un numero di telefono. Senza sapere come poterla ritrovare. Non serviva. Perchè certe persone, certe anime, quando si incontrano sono destinate a non lasciarsi più.