Avevo salutato Dafne in prossimità dell’hotel. Mi ero allontanato senza guardarmi indietro. Come un vero uomo. Come un duro dei film. Nemmeno James Bond se ne sarebbe andato così. Solo in alto, là dove le ultime case lasciano il posto ai prati, mi ero fermato ed avevo guardato in basso. Lei non c’era più. Ma vedevo le finestre illuminate dell’hotel. E quando in una di queste, proprio in quell’istante, si era accesa la luce, avevo capito che lei era arrivata in stanza. Perlomeno mi piaceva pensarlo. D’altronde, ero un duro. Meglio di Bond.
Ero arrivato in baita frastornato, incredulo. Agitato dentro ma tranquillo fuori. Come un uovo alla coque. Come un uovo sodo quando hai spento il fuoco troppo presto. Albume rappreso ma tuorlo ancora sciolto.
Avevo lasciato le luci della baita accese, con Argo che dormiva sulla sua coperta vicino alla stufa. Ancora percepivo la sua presenza, l’energia di Dafne. Come sia possibile trovare una sinergia tale con una persona mai vista prima, in una sola manciata di minuti, questo rimane un mistero.
Avevo voglia di scoprire tutto sull’amore. Avevo bisogno di conferme. Di coccole. Di calore umano. Ho messo sul piatto il vinile degli U2, Rattle And Hum, ultima traccia. La numero 17. Il mio numero preferito. Quello che dicono porti sfiga. Avevo voglia di All I Want Is You. Ho alzato forte il volume. Ho preso la bottiglia di grappa, mi sono accomodato e mi sono versato un bicchiere di Diciotto Lune. E poi un altro. Seduto sulla mia poltrona, nel mio angolo dei libri, delle parole, dei pensieri. L’ho assaporata e gustata. Il caldo che brucia la gola, il gusto dolce che rimane quando è sceso il sorso.
Di fronte avevo la porta d’entrata. Fuori era buio, aveva smesso di piovere ed il cielo nero era tempestato di stelle. L’avevo osservato assieme a Dafne. Le avevo indicato il carro e la stella polare, cinque volte la distanza dal lato corto del carro. Verso l’alto. Quello è il nord. Non cambia. Una volta che hai scoperto come trovarlo, lui è là. Sempre là. Una sicurezza. La vedevo entrare. Mi mancavi. Da morire. Sono tornata per stare con te. Stanotte. E domani. E poi ancora. Repetita iuvant. Ma nessuno aveva aperto quella porta. Nessuno aveva pronunciato quelle parole. Non stasera. Non lei.
Ho preso un libro a caso dalla libreria. Uno di quelli vecchi, quelli con i testi in latino su una pagina e la traduzione in italiano sull’altra. L’ho aperto a caso. Volevo un segno, un segnale che mi riportasse sulla terra, o un qualcosa che mi liberasse in volo come un palloncino scappato dalle mani di un bambino.
Quos amor verus tenuit, tenebit. Il vero amore non smetterà mai di legare coloro che ha legato una volta. Lucio Anneo Seneca. Proprio questo avevo trovato, aprendo a caso un libro usato, dimenticato, gettato via e ritornato nel posto che merita su uno scaffale, assieme ai suoi amici. Quella pagina. Quella frase. Non un’altra.
Non potevo crederci. Bono cantava All I want Is You, lo gridava a squarciagola, disperato. The Edge schitarrava forte. Adam ritmava e Larry Mullen picchiava con vigore. Io bevevo grappa, solitario su una poltrona in pelle, in una baita isolata tra i boschi a milleottocento metri di quota. Il brano finiva con i violini. Nemmeno me ne ero mai accorto. Era come se improvvisamente sentissi cose mai sentite prima. I sensi a mille. Percepivo tutto.
Ho avvicinato il libro al viso. Come le avevo visto fare poche ore prima. Che profumo di pagine vecchie! Di dita che avevano girato quei fogli di carta, di mani che lo avevano tenuto. Le cose hanno un’anima.
Mi sono addormentato sulla poltrona, con le luci accese, con il libro aperto appoggiato sulla pancia. Quando mi sono svegliato, probabilmente a causa della posizione scomodissima, mi sembrava di essermi appena assopito. Ho guardato l’ora ed erano le tre passate. Con uno sbadiglio mi sono alzato e sono salito in camera. Mi sono buttato sul letto, senza passare dal bagno, senza lavarmi i denti, senza togliermi i vestiti. Credo di essermi addormentato ancora prima di toccare il letto. In pace. Felice. Felice come non mai. Era stata una gran giornata. Di quelle che capitano poche volte nella vita. Grazie vita che mi hai donato queste emozioni. Grazie del temporale. Grazie per lei.