A volte bisogna esplorare il buio. Altre torna utile trascorrere una notte in una tendina, tutti soli, in un bosco in montagna; una grande esperienza. Provare terrore, avere paura, talvolta aiuta. Pensare di non farcela a vedere l’alba. A volte bisogna andare a fondo. Ritrovarsi a raschiare il fondo. Talvolta serve trovarsi al buio, perduti, per comprendere quanto tutto sia precario. Viviamo in bilico su una fune sospesa nel vuoto, costretti a non guardare il vuoto sotto, concentrati nel tenere lo sguardo avanti, per non cadere di sotto.

Ho sempre avuto paura del vuoto, ma non per le ragioni che potreste pensare. No, non soffro di vertigini. La mia paura è invece quella di rincorrere il desiderio irrefrenabile di saltare nel vuoto. Per vedere cosa accade nel sentire l’aria sul viso fissando la terra che si avvicina. Con le cose sempre più grandi. Sempre più vicine. Ce l’ho sempre avuto questo desiderio. Mi affaccio nel vuoto e mi chiedo: “chissà come sarebbe saltare giù”.

Il terrore è dovuto alla sensazione ultima di non fidarsi di sè stessi. Non posso essere certo che non mi venga voglia di saltare. Temo me stesso. Ho saltato solo una volta, un’estate a Saint Tropez, da una piattaforma issata a 90 metri d’altezza, legato con una fune elastica alle caviglie. La più grande paura della mia vita.

Quello appena trascorso è stato un inverno buio, cupo e senza luce. A fine novembre, nell’ultimo post annunciavo la fine di questo esperimento di scrittura. Era compromesso. Non era più naturale e spontaneo. Altre vicende personali, mi avevano fatto decidere di  smettere di scrivere. Sono stato al buio. Anzi, nel buio. Perduto. Sconfitto in una battaglia che non meritava nemmeno di essere combattuta, in una guerra assurda ed idiota come lo sono tutte le guerre. Un situazione che avevo voluto pur non volendolo.  Ed ho perso. Malamente. Ho perso tutto. E mi sono condannato, punito, percosso, lesionato ed esiliato dal mondo. Non meritavo più nulla. Solo dolore e penitenza. Mai come quello che ho causato.

E’ stato un inverno freddo e triste. Mi sono scoperto debole, colpevole ed incapace di reagire. Nulla aveva più alcun senso. Non avevo più nulla da dire e da dare. Ho sempre scritto solo ed esclusivamente per me stesso. Ed ora non meritavo nemmeno più di scrivere per il mio unico lettore.

Ho visto il buio. Ne sono stato sopraffatto e circondato.

Ma poi ho capito che in fondo al bosco, forse c’era una luce. Si chiama speranza e serve a tenerci vivi.

Il buio ancora mi circonda. Ma non mi importa più. Non voglio più nascondermi e voglio smettere di punirmi. Ad un tratto ho scoperto che per salvarsi bisogna lasciarsi andare ed abbandonare ciò che si stringe. E bisogna tornare a cercare la luce, a trovare la propria strada. Persino più forti. Sicuramente più coraggiosi e consapevoli, come solo coloro che hanno visto il buio possono apprezzare la luce. Perchè, infine, anche gli occhi si abituano a vedere al buio, ma solo abituandosi alle tenebre.

Forse nessuno capirà le mie parole. Non mi importa. Servono a me. Ho smesso di nascondermi.

Tornerò a scrivere. Inventerò altre storie, altre avventure. Tornerà Gomonico ed il suo fido Argo. L’unico a non averlo abbandonato. Forse l’unico ad avermi tenuto in vita.

A presto. Sono tornato.