Vorrei riprendere dal precedente post, in cui si parlava di riuscire a trovare la nostra essenza, per poter vivere la nostra vita, in armonia con ciò che siamo e ciò per cui siamo portati. Non mi spingerò a dire che tutti nasciamo con una missione, con un compito, ma confesso che molte volte ci ho pensato. E’ romantico questo pensiero. Ma mi sembra un po’ troppo da favola di Walt Disney. Mi basta pensare che, in ogni momento della nostra vita, sarebbe bello riuscire ad essere in pace con sè stessi e con il mondo in cui si vive.
A volte, nei momenti più difficili, si percepisce un vuoto da colmare. Che non sempre si comprende e che risulta quindi estremamente difficile da colmare. Si prova, ma si rischia di riempirlo con le cose sbagliata. Quasi sempre finisco per credere che questo sia dovuto alla società in cui viviamo, che ci inculca idee sbagliate e pensieri che ci allontanano dal capire ciò di cui davvero abbiamo bisogno. E’ una società, questa moderna e sempre più tecnologica, che sembra distruggere tutto e tutti in nome del progresso. Che spinge all’omologazione, al pensiero unico, al gusto ed alle preferenze imposte, che annulla il pensiero creativo e dissidente. E’ una società dei consumi, del tutto e subito, della continua proposta di nuovi bisogni e desideri. E’ fondamentalmentalmente basata sui consumi. Di beni, sentimenti ed anime. Si idolatra il successo, che si misura in denaro, potere, visibilità e follower (per chi, quasi tutti, utilizzano i social). Follower inteso anche, banalmente, come i like ai post ed alle immagini, con i commenti positivi. Io non ho social. Non li utilizzo e non sono sui social. Vi direi, provate a cercarmi, ma nessuno sa davvero chi sono.
La cosa che più non sopporto è che si tende a feticizzare la perfezione. Il feticcio è un qualcosa che sfocia in un culto, in un rispetto esagerato, irragionevole e fanatico. La perfezione è ciò che è perfetto, eccellente, esente da difetti e, quindi, non suscettibile di miglioramenti. Ai feticci preferisco la bellezza e la curiosità verso il nuovo, la bellezza del bello. In quanto alla perfezione, sono convinto che essa non esista. E se pure esistesse, preferisco di gran lunga i difetti e le imperfezioni, che caratterizzano e rendono unici. E, soprattutto, che lasciano sempre spazio al miglioramento.
Al giorno d’oggi siamo tutti impegnati a fare, avere, sognare, performare, ottenere, apparire, accumulare, avere e mostrare. Alla ricerca di una perenne irraggiungibile soddisfazione. Che sfocia in tristezza e frustrazione quando non viene raggiunta. Che crea invidie e malessere. E tutto questo, filtrato, proposto e modificato dai social, dove tutti (gli altri) sono sempre belli, buoni, bravi, ricchi ed hanno sempre tutto più di noi. Felici sempre.
Tutto questo pippone preambolato per dire che questo non è il mio mondo. Infatti a breve me ne andrò per un viaggio in solitaria. Ma questa è un’altra faccenda. E’ curioso come le filosofie occidentali, quelle che spesso insegnano la meditazione, abbiano un approccio alla vita del tutto speculare rispetto al nostro. Noi cerchiamo la felicità all’esterno, con l’approvazione degli altri, con la nostra esposizione come in un concorso di bellezza o bravura. La cerchiamo, quasi sempre, individuando ciò che ci manca e che pensiamo possa renderci felici. Come se ci fosse una torta e che solo questa, se intera, possa portarci la felicità; ma ci manca sempre una fetta. E senza quella, addio felicità. Nel pensiero orientale, quello che arriva da confucio, ad esempio, la felicità può essere raggiunta solo cercandola all’interno di noi. Essa non dipende dagli altri e da qualcosa che ci manca. Le filosofie orientali, questa è la mia opinione, pur non essendo un esperto, tengono in considerazione l’unico luogo in cui si cela la felicità, ovvero dentro noi stessi. Mi piace chiamarla “anima”. Ma la interpreto in senso ampio, come il nostro io, la nostra missione, l nostro istinto. E’ quella voce, interna, che tutti sentiamo, e che sa sempre cosa sia giusto per noi. Ma non sempre la si ascolta.
Perchè non la si ascolta?
Perchè ci risulta più facile e semplice ascoltare l’altra voce, quella che chiamo EGO. L’ego è ciò che guisa i nostri modi di pensare, di agire, di comportarci e di vedere le cose. L’ego ci mette al centro dell’attenzione. Ma non sempre questo coincide con il nostro benessere e la nostra felicità. L’ego è spesso un ostacolo alla nostra felicità perchè sfocia in orgoglio, perchè fa uscire la nostra peggiore personalità, che non guarda in faccia a nessuno. L’ego non ama l’empatia. L’ego ama l’egoismo. L’ego porta dolore e infelicità. L’ego ci spinge a concentrarci su ciò che non abbiamo, su ciò che invece sembrano avere gli altri. L’ego alimenta il confronto, l’invidia e la competizione.
Anziché disperarci per ciò che non abbiamo, dovremmo in ogni istante ringraziare per ciò che abbiamo. Che non significa accontentarsi passivamente, senza auspicare di migliorare. Significa essere soddisfatti per chi si è e per cosa si ha. Significa sognare di migliorare, capendo che non è guardando ciò che hanno gli altri che saremo felici. Probabilmente dovremmo affinare il senso di gratitudine, che è quello alla base della soddisfazione e della felicità.
Non ho idea di come riuscirci. Ci penserò. Chiederò al bosco, domanderò ad Argo. Proverò a capire come trovare il significato della nostra vita. Ammesso che esista un metodo. Ne dubito. Credo che ognuno debba trovare il suo. Vi saprò dire.