Rieccomi. Strane settimane, strane giornate, strani periodi. Sono in baita e da tutta la sera qui da me suonano i Nirvana. Solo Cobain e Grohl esprimono il mio stato d’animo. E’ successo di tutto in questi giorni. A me ed al mondo. Anzi, nel mondo.

E’ questo strano periodo. Dicevano che l’era dell’acquario avrebbe cambiato tutto, portato rivoluzioni e cambi epocali. Ci siamo dentro, volenti o nolenti. Pure per chi non conosce le antiche credenze esoteriche. Abituatevi, perchè è partita lo scorso anno e ne usciremo solo tra 2159 anni. Forse io non ci sarò. Presumo. O magari ritornerò, per vederne la fine. Non so. Nei giorni scorsi avrei voluto svanire. Puff. Evaporare in una nuvola di vapore. Lasciare a terra una piccola pozza destinata ad asciugare in pochi minuti.

Le scorse settimane sono state intense. Ho lavorato molto e sono stato lontano da questo posto. Quando mi allontano mi manca un sacco. Qui ritrovo l’equilibrio che, evidentemente, manca quando mi trasferisco nel mondo. Nell’altro mondo. Quello che sempre di più stento a capire e comprendere. O forse è quel mondo che non mi appartiene. Ormai appartengo a questo. Isolato. Forse solo. Tra gli abeti ed i larici. Con Argo. Che mi capisce meglio di altri. Ed ha il pregio che non parla, non chiede nulla, non pensa. Ed ama solo, senza porsi domande, senza pensare al domani. Che tanto non serve a nulla.

Fuori, in valle, nella civiltà ho trovato un mondo storno, capovolto e sbagliato. La prima cosa che ho scoperto tornando tra i civile è stata che un bus è volato da un cavalcavia uccidendo oltre venti persone. Poi, come se non bastasse mi hanno detto di un’altra guerra assurda ed inutile. Pure questa inutile e idiota. Come tutte le guerre. Che sono guerre. E sono fatte solo per le scelte stupide di pochi che portano dolore e morte a persone che sicuramente non avrebbero mai voluto una situazione tale.

E’ un mondo concentrato solo sul male e sulle brutte cose. Ha dimenticato il buono ed il bello. Non capisco perchè tutto questo odio, fomentato da una propaganda dei massa media che incutono odio, terrore, paura, divisioni e contrasti. Quando ci vorrebbe solo capacità di perdonare, sorridere, ridere, gioire, amare. Ci vorrebbe amore. Sia vero che in senso lato. Ma la società premia l’odio ed il rancore. Ed io vorrei andarmene. Questo mondo non lo sento mio. Già da molto tempo. Il disastro ha preso piede con la pandemia. E la gente ha perso il senso. Il senso ed i valori della vita.

Una cosa però mi è successa. Di bello. Di positivo. Qualcosa che da sola mi ha fatto vedere che non è solo buio e tristezza. Non ci sono solo parole di odio e rancore. Ma forse c’è ancora dell’amore. Raro e prezioso.

Ho chiuso la porta della baita, qualche settimana fa, piuttosto deluso e rattristato. Avevo in testa Dafne. Avevo tra le mani la sua lettera e non avete idea di quante ore ho trascorso al tramonto su quel prato di fronte alla baita. Sul versante opposto, che tra, l’altro, guarda ad ovest, in faccia al tramonto. L’ho attesa. Ci ho sperato. Mi sono fatto un sacco di film. di pensieri ed ho alimentato una falsa speranza. Non è mai venuta. Mi sono domandato a lungo perchè mi avesse voluto far avere quella lettera. Me ne sono fatto una ragione: ha semplicemente cambiato idea. Perchè avrebbe dovuto tornare in montagna. Per me? Ma chi mi cerca? Chi è interessato a me?

Ho passato qualche giorno a Trento e poi, una mattina, qualche giorno fa, ho preso il treno per Milano. Trento – Verona. E poi Verona – Milano. Odio andare a Milano. La città è triste, grigia e tutti corrono. Parlano solo di lavoro e di denaro. E poi, da Trento, è davvero scomoda da raggiungere. Molto meglio Roma. Ci si arriva più velocemente. Ed è la città eterna. Allegra. Un’altra dimensione.

Vabbè. Arrivo a Verona Porta nuova, scendo dal regionale veloce e cerco il binario con la freccia per milano. Binario dieci. Non ho ben capito perchè a Verona Porta nuova i binari sono solo pari. Nessun binario dispari. Vabbè. Erano quasi le nove e salendo le scale per il binario dieci mi ritrovo letteralmente travolto da una massa umana di persone. Tutte di fretta, tutte concentrate a farsi avanti, a sbattere da parte qualsiasi ostacolo. Io contro tutti. Io che salivo e loro che scendevano queste maledette scale. Mi sono fatto da parte. Mi schiacciavano contro il muro. Allora mi sono spostato in centro ai gradini ed ho lottato contro corrente. Impavido. Duro. Una roccia. Ho preso parole, mi hanno urtato, mi sono fatto largo a spallate ed alla fine ho visto la luce. In cima, binario 10, freccia per Milano in ritardo di 15 minuti. Ottimo. Nel frattempo la corrente umana usciva senza diminuire da un regionale al binario 12.

Marciapiede invaso. Gente ovunque. Pazzi di corsa. Ad un tratto, davanti a me, spunta un viso conosciuto. Tra tutti, proprio quello mi ha attirato. Solo quello mi ha fatto alzare la testa per guardare chi arrivava. Era lei. Non ci crederete ma era proprio lei. L’avrei riconosciuta tra mille. E pure lei guardava nella mia direzione. Cercava i miei occhi, come se qualcuno le avesse detto che sarei stato li ad aspettarla. Era lei. Dafne. Mi aveva visto. Mi sorrideva. Anzi, sono certo che non stesse sorridendo prima. Ma quando ha incrociato il mio sguardo un sorriso vero si è stampato sul suo viso. Ma quanto era bella.

Hei! ma che ci fai qui? vieni, spostiamoci da qui, che questi ci travolgono

Eh! ti stavo aspettando.

Come mi stavi aspettando? Che stai dicendo?” – era davvero sorpresa ed allibita dalla mia risposta.

No dai, scherzavo” – la vedevo silenziosa e sorpresa – “Sto aspettando il treno per andare a Milano. Ma comunque, in effetti, forse si: ti sto aspettando. Da parecchio. Sono giorni che ti aspetto su quel prato.” – diretto, scherzoso, ma brutale.

Ma cosa stai dicendo? Tu non sei venuto su quel prato. Tu. Io c’ero.

Ero sorpreso. Era quasi infastidita, filo infastidita.

No cara. Io mi sono fatto quasi una settimana di tramonti, comprese due sere che era talmente nuvoloso che non ho nemmeno visto il sole. Ed io c’ero. Tu mancavi”.

Forse iniziava a comprendere. Il suo viso si era fatto meno scontroso ed iniziava ad essere meno sicura della sua posizione.

Scusa, fammi capire. Io sono arriva in montagna il venerdi e per due sere sono salita al prato. Arianna, della reception, mi aveva detto che eri passato e che ti aveva dato la lettera. Sicuro che non hai sbagliato prato?

Ossignor! no no, no che non ho sbagliato prato. Figurati se sbaglio a perdermi nei miei boschi. Ho solo sbagliato i giorni. Io sono salito fino a giovedi sera. Poi il venerdi sono dovuto partire per un impegno di lavoro. Quindi, mi stai dicendo che il giorno dopo, e quello successivo, sei salita ad aspettarmi?

Quindi, stai dicendo che per un’intera settimana siamo saliti al prato, ma nei giorni sbagliati?

Ci siamo messi a ridere. Increduli. Ma in cuor mio sapevo che quella immane gioia che mi inondava il cuore non era per questa vicenda kafkiana, anzi più da Samuel Beckett in Aspettando Godot, quanto per il fatto che lei c’era. Lei aveva mantenuto la promessa. Era tornata davvero e mi aveva cercato. Ed io che ero affranto e mi sentivo brutto, inutile e deficientemente illuso. Invece lei c’era.

Era bellissima. Mi guardava fisso negli occhi e dentro i suoi mi ritrovavo specchiato. Ero certo che stesse pensando ciò che pensavo io. Che provasse le mie stesse sensazioni. Proprio li. In quel preciso istante. Poco prima era una settimana di merda. Vedevo il male e l’odio del mondo. Ora quel mondo malefico non c’era più. Eravamo stati catapultati nel nostro mondo.

E dove stai andando stamattina?

Devo andare al lavoro, ho lo Studio in centro, ma abito in periferia. Tu stai andando a Milano? E quanto ci starai? ripassi da Verona prima o poi?” – mentre diceva questo aveva sollevato la borsetta e stava cercando qualcosa.

Ecco. Prendi questo. Qui ci sono i miei contatti ed il mio numero di cellulare. Fatti sentire. Ce l’hai un cellulare vero? altrimenti ti conviene comprarlo, se non vuoi mancare ancora gli appuntamenti. Che poi magari mi stufo di aspettare…

Ero rimasto li. In piedi. Incantato. Con il suo biglietto da visita in mano. Non mi ero nemmeno accorto che si era avvicinata, si era alzata sulle punte e mi aveva baciato sulla guancia. E poi era volata via. Veloce.

Ciao Adam. Non hai più scuse ora. A presto” – ed aveva imboccato le scale ridendo.

Nulla sarebbe stato come prima. Il mondo non era più quel posto odioso. Ma quanto era splendido il mondo. Sarebbe stato un gran peccato svanire nel nulla. Ed ora, pure Milano non era più così schifosa. Strana cosa la vita.