Ho trascorso il doppio ponte del 25 aprile e del primo maggio da solo, con Argo. Sono rimasto in baita, uomo solitario con il fedele compagno peloso, assieme alle nuvole, al rumore della pioggia sul tetto, alle nuvole grigie cariche di acqua ed a sporadici raggi di sole. Sono stato bene. In pace con me stesso.

Ieri sera sono rimasto a lungo a leggere fuori sulla sdraio, fino a quando il buio non mi ha nascosto addirittura la pagina. Ho chiuso gli occhi, imitando Argo che dormiva ai miei piedi. Il bosco era rumoroso più del solito e, per la prima volta quest’anno, ho sentito i grilli frinire nel prato. Tra gli alberi, rumori di uccelli notturni, incluso il cuculo. La temperatura era piacevole, quel fresco da maglione.

Ed ho riflettuto sulla solitudine. L’ho sentita bene, mia. E lei mi ha sentito, le appartengo. Ma non è brutta, tutt’altro. La solitudine è bella.  Mi è tornato in mente un pezzo di una poesia di Emily Dickinson: “Forse sarei più sola/senza la mia solitudine“.  La nostra società prova in tutti i modi a demonizzare i solitari, visti come problematici asociali. Una società che spinge tutti ad una frenetica vita mondana, ad uscire, a vivere iperconnessi ed iperteconologi, senza accorgersi che ciò ci spinge solo ed irrimediabilmente verso l’isolamento e l’atomizzazione. Isolamento non è solitudine. L’isolamento è una forma di disagiata costrizione, mentre la solitudine è una scelta. Come ho letto in un blog trovato in rete, “la solitudine è la possibilità, in un mondo saturo di informazione e parole vuote, di ritrovare il silenzio dentro la propria anima. Ed è in questo silenzio che è verosimile scorgere più chiaramente la nostra condizione esistenziale che oscilla fra la finitudine e l’infinito desiderio d’infinito“. Questa citazione l’ho ritrovata tra i miei appunti, quando qualche cosa mi è di ispirazione, me la segno sempre. Nemmeno sapevo il significato di finitudine. Questo termine indica il limite dell’essere umano. Siamo finiti ed infiniti.

Ed è così che mi sento pure io, oscillo tra la disperazione di chi grida al vento “sono finito!” e l’entusiasmo senza limiti dei sogni e dei progetti in cui spesso scivolo. Non c’è spazio per nessun altro. Sto bene con me stesso. Contemplativo. Solo in solitudine riesco ad apprezzare pienamente un brano musicale, a godermi un libro, a rilassarmi chiudendo gli occhi ed ascoltando il mondo. Sono momenti miei. Sono i miei momenti. I momenti di solitudine sono i soli che ci permettono di pensare a noi stessi. L’ho sempre fatto troppo poco. Ed ora voglio recuperare.

Oggi io voglio difendere la solitudine. Al giorno d’oggi è vista perlopiù come un qualcosa di negativo, perchè chi è solo lo è perchè “non voluto” ed è quindi visto come “poco attrattivo”. Si cerca quindi di esasperare la situazione opposta, di essere costantemente in mezzo agli altri, fingendo al solo scopo di essere benvoluti, ma soli per davvero. La solitudine è associata all’essere asociale, a coloro che sono inadeguati, problematici, scontrosi, antipatici. Pure la timidezza è vista come un difetto da correggere.  La solitudine fa quindi paura. Alle persone “normali”. Io la difendo. La faccio mia. La solitudine si nutre di silenzio, garantisce all’uomo di liberarsi dal soffocamento che la società impone, senza paure e ansie di conferme. Ed è lottando contro questi preconcetti che si inizia ad apprezzare la solitudine, che diventa anelito.

Bella solitudine. Beata solitudine. Splendida compagna che mi fa pensare, riflettere e percepire di non essere solo. Esiste una profonda differenza tra stare soli e sentirsi soli. Io sto spesso solo, ma raramente mi sento solo. La solitudine mi permette di concentrarmi su me stesso, di riposare, riflettere e, soprattutto, di recuperare le energie. La solitudine mi serve. E’ parte di me. Molto difficile da spiegare a chi mi vive affianco. O, perlomeno, a chi l’ha fatto per tantissimi anni. Per me lo stare solo è libertà. La sola unica libertà di cui ho bisogno.

Seneca scrisse nel De tranquillitate animi: «Sono due pratiche da unire e alternare, la solitudine e la compagnia. La prima ci farà desiderare il contatto con gli uomini, l’altra quello con noi stessi, e l’una sarà di antidoto all’altra: la solitudine ci guarirà dal disprezzo della folla, la folla dalla nausea della solitudine»

E, come ormai da tradizione – che prima o poi sospenderò prima che diventi abitudine – chiudo con una dotta citazione, questa volta di Paolo Coelho:

LA SOLITUDINE NON È L’ASSENZA DI UN COMPAGNO O DI UNA COMPAGNA, MA IL MOMENTO IN CUI LA NOSTRA ANIMA PUÒ PARLARCI LIBERAMENTE E AIUTARCI A PRENDERE DELLE DECISIONI RIGUARDO ALLE NOSTRE VITE