Siamo arrivati alla baita fradici, con la pioggia che ci ha accompagnato per tutto il tragitto.
Dafne avrebbe avuto ancora una buona mezz’ora di cammino per arrivare all’hotel e quando siamo stati in prossimità della baita, sotto al diluvio, alla vista del prato e del possibile riparo, si è girata verso di me, camminando affrettata, con il viso seminascosto dal cappuccio dell’impermeabile, con i capelli bagnati ed il viso gocciolante, dicendo: “Potremmo fermarci lì a ripararci un attimo. Forse tra poco smette. Sono fradicia.”
“Ma certo. Mi sembra un’ottima idea.” ho risposto io, non accennando minimamente al fatto che quella era casa mia. La mia baita. Non le avevo detto nulla di dove stavo, non ce n’era stata l’occasione. Le avevo solo detto che anche io avrei fatto lo stesso suo sentiero verso il paese.
In alto il cielo era nero e cupo. La pioggia scendeva fitta e le raffiche di vento non facevano altro che bagnarci ogni singolo centimetro di corpo. Sembrava quasi che, a tratti, qualcuno ci rovesciasse addosso dei catini d’acqua. Verso valle sembrava esserci qualche spiraglio di sereno.
Argo era davanti a noi, con il pelo schiacciato sul corpo. Pure lui inzuppato d’acqua. Mi sarei dovuto subire la puzza di cane bagnato per tutta la sera, a meno di non riuscire ad asciugarlo in qualche modo.
Arrivati alla baita, ci siamo sistemati sotto il tetto appoggiati alla parete esterna. Mi sono avvicinato alla porta ed ho estratto le chiavi.
“Ma che fai, sei pazzo? sarà abitata, non vorrai mica entrargli in casa così.”
“Non preoccuparti, sono bravo a scassinare le porte. Se torneranno i padroni diremo che c’è stata un’emergenza. E poi, chi vuoi che arrivi ormai a quest’ora, in un posto così isolato poi.”
Lei era allibita e mi osservava con preoccupazione, quasi con terrore. Non osava ribattere, se non con un impercettibile “Ma no, dai non si può”.
Nel frattempo avevo aperto la porta ed Argo si era infilato dentro, al riparo delle pioggia, come un fulmine.
“Forza, dai, vieni. Cosa aspetti? Sono riuscito ad aprirla. Non preoccuparti. Il proprietario non dirà nulla. Anzi, credo pure di conoscerlo. Credo di aver capito chi sia. E’ uno tranquillo.”
Dafne mi guardava allibita. Non pensava lo avessi davvero fatto. Non concepiva l’idea di aver forzato una porta per intruffolarsi furtivamente in una casa. Ma era tentata dall’entrare, perchè fuori il temporale era ancora molto forte.
Ero già entrato, e stavo togliendomi l’impermeabile, lo zaino e gli scarponi, quando Dafne prese coraggio e varcò l’ingresso. Ero davvero bagnato come un pulcino. Per i più curiosi, il modo di dire “bagnato come un pulcino” deriva dal fatto che le piume leggerissime dei pulcini, se bagnate, si inzuppano talmente da afflosciarsi e attaccarsi al corpo minuscolo dell’animale.
La aiutai a torgliersi il poncho e le presi lo zaino. Era dubbiosa sul fatto di essere entrata come una ladra, ma si stava guardando attorno. “Che baita fantastica. Guarda, c’è pure una libreria zeppa di libri! e che bella quella poltrona che sembra nata apposta per sedersi a leggere!”.
Dopo aver chiuso la porta ed acceso la luce, invitai Dafne a togliersi gli scarponcini, inzuppati d’acqua pure quelli.
“Aspettami qui che vado a recuperare qualcosa di asciutto”
“No!, fermo! ma dove vai. Sei pazzo? e se torna il proprietario?”
Ero già volato al piano di sopra, alla ricerca di qualcosa che potesse indossare perlomeno per scaldarsi, fino al termine del temporale. Che, confesso, speravo durasse tutto il giorno, tutta la sera e tutta la notte!
Tornai da basso con una felpa con cappuccio nera, un paio di boxer, una t-shirt blu, dei pantaloni della tuta grigi tagliati al ginocchio ed un paio di calzini di lana, quelli grossi, invernali, quelli della nonna, stile norvegese. Avevo preso anche un asciugamano grande.
“Ecco, prendi. Se vuoi lì c’è il bagno, quella porta sotto alle scale. Potrai cambiarti i vestiti fradici. Intanto metti questi, poi metteremo ad asciugare le tue cose vicino alla stufa e quando sarà passato il temporale vedrai che sarà tutto asciutto. Nel frattempo, che ne dici di un thè caldo?”
Mi guardava stupefatta ed allibita. Non capiva. O forse, stava capendo benissimo, ed era solo incredula. Era ferma. Davanti alla soglia. Immobile, in piedi, gocciolante. Aveva i capelli bagnati, inzuppati che le si erano attaccati al viso. Era splendida. Il sentimento e l’istinto era quello di abbracciarla e stringerla. Scaldarla e tenerla stretta. Mi guardava con due occhi da cerbiatta. Pieni di luce e stupore.
“Forza, dai!, che aspetti. Prendi questa roba e vai a cambiarti. Questa è casa mia. Sono un tipo tranquillo. Un orso, ma molto ospitale.”
Senza dire nulla, prese coraggio, si avvicinò a me e si fece consegnare l’abbigliamento asciutto prima di dirigersi verso il bagno. “Grazie. Grazie molte. Sei gentile.”
“Figurati”
Argo era già sdraiato sotto la stufa. Era spenta ma quello era il suo posto. Lo guardai. Mi rispose con due battiti di coda sul pavimento. Tipo Tamburino, quello di Bambi, che quando era felice sbatteva la zampa a terra.
Erano le quattro e mezza del pomeriggio. La pioggia batteva rumorosa sul tetto e fuori le nuvole avevano nascosto il bosco ed il prato. Sembrava che la baita fosse stata inghiottita dai nuvoloni.
Dafne aprì la porta rimanendo ferma, ridendo, sulla soglia del bagno. Era bellissima. Si era asciugata il viso ed i capelli, ora molto più naturali e vaporosi. Aveva dei lunghi capelli castani che prima non avevo notato perchè raccolti. Era davvero buffa, con quei vestiti di parecchie taglie più grandi.
“Questi non mi servono” – disse consegnandomi i boxer con un sorriso che era una via di mezzo tra l’imbarazzato ed il canzonatorio – “Ma, dimmi, dove posso mettere a stendere questi miei vestiti fradici?”
Vide il mio sguardo diretto allo stenditoio che avevo aperto e sistemato a lato della cucina, vicino alla stufa a legna che usavo per cucinare e che avevo acceso per preparare il thè. Senza dire nulla, era già indaffarata a stendere i suoi vestiti, vicino ai miei.
Che donna, pensai. Non serve nemmeno parlarsi. Ci potremmo raccontare interi romanzi senza nemmeno far uscire una parola di bocca. E’ strano e magico come con certe persone si riesca a trovare subito una sintonia, a collegare un filo invisibile tra le menti, che non serve nulla per capirsi. Nemmeno lo sguardo. Si pensa all’unisono. Capita raramente, ma capita. E quando accade è un vero e proprio miracolo. La mia amica Roberta parlerebbe di energia e frequenze. Di condivisione della stessa energia.
Dafne si era seduta sulla panca, sul lato corto, quello da cui poteva vedere l’interno della baita, sotto alla finestra.
“Ma davvero, quindi, questa è casa tua? vivi qui? tutto l’anno?” e poi, senza attendere la risposta: “E cosa fai nella vita? di cosa ti occupi? Posso vedere i tuoi libri?”
Ed in un baleno si era già alzata ed era davanti alla libreria. Le accesi la luce di quell’angolo di paradiso. Il mio angolo di paradiso. Amavo quell’angolo della baita, che mi ero costruito a mia immagine e somiglianza, un angolo appartato, da cui potevo vedere tutto, ma in un certoqualmodo nascosto alla vista, invisibile alla prima veloce occhiata di uno che si fosse affacciato alla porta d’entrata. Molti libri erano stati letti. Tanti altri li avevo acquistati usati, in blocco. Questi erano libri antichi, vecchi, usurati, provenienti da un negozio che rivendeva libri dismessi provenienti dai prestiti delle biblioteche del trentino. Erano la mia speciale collezione meravigliosa. Ero stato fortunato perchè molti di questi erano testi di sociologia e filosofia. Libri impegnativi, traduzione di testi greci e latini. Scritti che potevi leggere solo centellinandone le pagine. Poche righe e permettevano di entrare in mondi e pensieri inesplorati. Che bella la saggezza antica. E’ ciò che manca in questa nostra, brutta società che pensa solo al progresso, alla tecnologia ed alla scienza. Quando, forse, la gente avrebbe bisogno anche di una certa dose quotidiana di sentimento, emozioni e filosofia.
Dafne era estasiata da tutti quei libri. Li prendeva in mano, li sfogliava con cura, ne leggeva qualche passo. Sorrideva. E poi li riponeva con amore al loro posto. Guardarla mi faceva provare un senso di tenerezza, amore e gratitudine. Era bella. Non la conoscevo. Ma era come se l’avessi sempre conosciuta. Solo lei avrebbe potuto perdersi tra i miei libri, vestita come un pupazzo di Natale, con i miei indumenti, provando piacere nello sfogliare dei testi vecchi e consunti. Ogni tanto ne avvicinava uno al naso, come se volesse sentirne il profumo.
“Ma, quindi, di cosa ti occupi? Davvero questa è casa tua oppure sei qui in vacanza?”
“ Certo che questa è casa mia. E tu sei nel mio angolo magico. Ti pare che una casa di vacanza possa avere un angolo biblioteca? Ci sono troppe cose mie, personali, per essere una casa affittata per le vacanze.”
“Hai ragione. Ci vedo personalità. Vedo una casa vissuta ed amata. Una baita meravigliosa, un posto splendido pieno di bellezza. Ci vedo uno stile ed una personalità in tutto questo.”
Il thè era pronto e ce lo siamo bevuti seduti a tavola, accompagnato da una confezione di Loacker rossi. Rigorosamente rossi. I primi. I veri. The original.
Fuori continuava a piovere e nel frattempo la luce del giorno aveva lasciato spazio al crepuscolo. Abbiamo scherzato e riso come se ci conoscessimo da sempre. Una strana sensazione mai provata prima. Era così buffa con i miei vestiti. Ed era bella. Di una bellezza unica e disarmante.
Mi aveva chiesto cosa facessi nella vita, ipotizzando che fossi un letterato. Strano termine, un letterato. Chi è? Di cosa si occupa? Adoro leggere, mi piace scrivere, anzi, scrivere è la mia terapia e la mia forma di evasione da un mondo che spesso non riconosco più. Basta questo per essere un letterato?
Lei è di Verona, studi classici, laureata in giurisprudenza, di professione avvocato. Non porta la fede, nemmeno ha mai guardato ed utilizzato il telefonino da quando stiamo assieme. Ma, una meraviglia così, come può essere libera sentimentalmente? ma però, cosa ci fa qui in montagna da sola? E’ davvero da sola?
“E cosa ti porta qui in Trentino? Sei qui da sola? questa valle è splendida proprio perchè è esterna ai classici circuiti turistici. E’ rimasta isolata e selvaggia. Conosciuta da pochi. solo da quelli che davvero la sanno apprezzare”
“Io adoro il mare pensavo non mi piacesse la montagna. Ma questo è un periodo strano, una strana estate. Volevo trascorrere del tempo al mare, ma non trovavo lo stimolo giusto. Ero indecisa su dove andare. Con chi andarci. Quando andarci. Poi un giorno in pausa pranzo incontro un vecchio amico che mi decanta il Giappone, il Trentino e le sue vacanze in questa valle. Improvvisamente, seduta a quel tavolo, ho avuto un’illuminazione, e mi sono detta “perchè no? perchè non andare in montagna questa volta?”. Ed eccomi qui.”
“E quindi, è la prima volta che trascorri qualche giorno in montagna? Ma sei qui da sola?” a quest’ultima domanda proprio non voleva rispondere. Ma, non chiedetemi perchè, la risposta era importante per me.
“Si, sono stata ancora per qualche giorno, con amici che sciavano. Io non amo sciare. Odio il freddo, mi piace camminare ma non amo far fatica e non mi piacciono le salite importanti ed i dislivelli elevati. Amo la neve. Ma quello che penso quando immagino la montagna è tipo lo stereotipo di quel video degli Wham, quello ambientato in inverno. Per me la montagna è quello. Neve, una casa accogliente, come questa, che è una meraviglia, con il camino che scoppietta ed il profumo della legna che arde. Mi piace l’immagine del fuoco, delle fiamme che sembrano animate, vive, come lingue calde che ti scaldano e ti fanno compagnia”.
Cavolo, una poetessa. Il riferimento a Last Christmas degli Wham mi aveva fatto sorridere. Roba da anni 80. Chissà quanti anni ha. Mi sembrava parecchio più giovane di me, ma questo riferimento musicale era strano.
“Che ho detto? che hai da sorridere?”
“Oh. Nulla nulla. Stavo pensando al video degli Wham. Con George Michael con i capelli biondi cotonati, che gioca nella neve. Bei tempi gli anni 80. Avevo probabilmente l’età delle medie quando è uscita quella canzone. Poi è arrivata l’epoca d’oro del rock e grunge. Grande periodo. Ora la musica è merda. Merda finta. Scusa la finezza. Salvo davvero poco.”
“Si anche io ero alle medie. Lo ricordo bene quel periodo.”
“Non si chiede, ma io sono contro le regole, nasco e morirò bastian contrario, non ti chiederò l’età, perchè sono un gentiluomo. Ma l’annata, quella si. Come il buon vino. Di che anno sei?”
“1973. Luglio 1973. Una leonessa.”
Volevo morire. Se non sono morto in quel momento, la dama nera con la falce in mano dovrà attendere ancora un poco. Perchè ora ho da trascorrere del tempo con questa meravigliosa creatura.