Questa settimana sono stato piuttosto preso con appuntamenti ed impegni di lavoro. Quando finalmente l’altra sera sono rientrato in baita, dopo qualche giorno di assenza, non mi sembrava vero. Giovedì a pranzo mi sono incontrato con Angela. Ma forse vi manca qualche passaggio. E probabilmente è il caso di aggiornarvi. Mettetevi comodi. Ammesso che a qualcuno interessi.

La settimana scorsa ho trovato, infilata sulla porta della baita, una poesia lasciata da Angela, accompagnata da un breve messaggio in cui mi lasciava il numero di telefono. Ho resistito l’intero fine settimana, senza trovare il coraggio di telefonarle oppure di mandarle un messaggio, anche se, lo confesso, già la prima sera avevo memorizzato il suo numero in rubrica. Lunedì sono sceso in città per lavoro e, dalla macchina, ho raccolto tutto il coraggio, ho composto il numero e l’ho chiamata. Il fuoristrada non ha il bluetooth e quindi chiamavo con gli auricolari. La macchina è piuttosto scassata e rumorosa. La strada che scende in città, nell’ultimo tratto, percorre una stretta valle, che sembra più un canyon, piena di curve e di piccoli tratti in galleria. Di solito il telefono prende poco e se prende, prende un pessimo segnale. Ho pensato: “vabbè, un’ottima scusa per fare una telefonata breve e chiudere in fretta”. Non aveva alcun senso. Ma l’ho pensato davvero.

Come sempre, a volte, spesso, per fortuna, le cose non vanno mai come abbiamo pensato. E questo dovrebbe essere un grande insegnamento che conferma la mia nuova tecnica psicologica dello “zero aspettative”. Non servono, sono sempre sbagliate, rischiano di lasciarci solo delusioni.

L’ho chiamata ed ha risposto al secondo squillo, un “si, pronto?” che mi ha illuminato il cuore e fatto battere gli occhi.. ecco no… viceversa…Quando ha capito che ero io, ho percepito gioia ed emozione nel suo tono. Mi ha detto che non se l’aspettava una chiamata, non perché non avrei dovuto farlo, ma perché non era sicura che avessi trovato e letto il biglietto. E magari non avrei avuto tempo e voglia di telefonare. Che scemenza!

Ci siamo dati appuntamento per giovedì a pranzo, promettendoci di rimanere in contatto. E’ stata la settimana più lunga della mia vita. Lunedì, martedì, mercoledì, e finalmente il giovedì. Martedì sera ci siamo scritti qualche messaggio. Un saluto. La buonanotte. Il mercoledì mattina abbiamo iniziato presto con il buongiorno e con qualche frase di circostanza. Il mercoledì pomeriggio eravamo vicini agli adolescenti con la sindrome da messaggistica compulsiva. Parecchi messaggi e sempre più personali. Ho capito per la prima volta il significato di senso di attesa spasmodico indotto dalla ricerca di una doppia spunta di lettura e dall’ansia di una risposta che tarda a venire. Pazzesco.

Poi mercoledì sera mi ha chiamato lei. Una telefonata preceduta da un messaggio: “sei libero? ti disturbo se ti chiamo?”. Avrebbe dovuto essere una breve telefonata di conferma per il pranzo del giorno successivo. Quando ho chiuso la telefonata erano trascorse quasi due ore. Pazzesco.

Poi finalmente il giovedì. Ci siamo dati appuntamento in un bar in centro, vicino al posto in cui lavora. L’ho vista arrivare da lontano, lungo il marciapiede, ci siamo visti, fissati, felici, sorridenti. Dio quanto è bella. Mi fa impazzire. Mi rende timido, impacciato, vulnerabile.

Abbiamo trascorso un’ora piacevole, divertente. Ci siamo promessi di ritrovarci in montagna, per trascorrere qualche ora assieme, magari fare una gita, magari organizzare un’altra cena da me in baita. Quando è stata ora di rientrare, l’ho accompagnata fino sotto all’ufficio. Avrei voluto darle un bacio, forse pure lei lo avrebbe voluto, ma continuavano a passarci affianco un sacco di colleghi, di rientro dalla paura pranzo. Mi sono limitato ad accarezzarle il viso, guardandola negli occhi e dicendole “questa vale come un bacio“. Me ne sono andato sorridente. E la gente che incrociavo lungo il marciapiede mi guardava, e sorrideva. Probabilmente la felicità è contagiosa.

Non ci siamo sentiti molto nei giorni successivi, se non per qualche veloce messaggio. Il buongiorno e la buonanotte non sono mai mancati. Dal mio punto di vista significano molto. E’ come dire: sei il primo pensiero della mattina, sei l’ultimo pensiero della giornata. Odio il telefono. Non sopporto i messaggi. Ma forse a qualcosa servono.

Giovedì sera sono finalmente rientrato in baita. Mi bastano pochi giorni lontani e ne sento la mancanza. Quando scendo in città, in un attimo ritorno nel vortice del lavoro, della frenesia, del traffico, degli impegni e del tutto subito. Non lo reggo più. Mi rende triste, nervoso e mi riempie la testa di pensieri e cose da pensare. Quando arrivo in baita, tra le mie montagne e tra i miei boschi mi sembra di rinascere. Il cervello si ossigena e la vita torna a sorridermi. Riesco a sgombrare la mente dai pensieri. In baita divento profondo, riesco a pensare cose che reputo addirittura intelligenti. Ho pure elaborato una mia forma di meditazione. L’ho chiamata “inseguire la bellezza”. Adesso vi racconto.

Mi viene meglio la sera, all’imbrunire. Anche perché la mattina sono piuttosto “mattiniero” e particolarmente visto ed attivo non appena apro gli occhi. Non ho voglia di pensare. La mattina ho bisogna di agire, di fare, di partire con il botto. La sera arrivo stanco. Ed è più facile meditare. Premetto che mi fa molto bene stare in montagna, camminare nei boschi e tra gli alberi. Ma quello che ho scoperto, il mio metodo,  mi aiuta meglio a cercare d essere felice.

Funziona così: mi siedo sulla panca all’aperto. Raddrizzo le spalle, appoggio entrambi i piedi ben piantati per terra. Apro le spalle, sollevo il viso leggermente verso l’alto e chiudo gli occhi. Inizio a respirare piano, talmente piano che posso sentire il rumore del bosco, degli animali, della natura. Respiro piano per non fare rumore. Per sentire anche il suono più flebile e leggero. Ed inizio a sgombrare la testa da tutti i pensieri, perché li sostituisco con quelli nuovi e positivi. Serve spazio. Quello che mi aiuta è concentrarmi su almeno tre episodi o sensazioni che ho visto durante il giorno. Per farlo meglio, ho scoperto che un grande aiuto è chiudere gli occhi, appoggiare i palmi delle mani sulle cosce e ripensare alla giornata. Ho scoperto che sorridere, muovere le labbra accennando un sorriso vero è perfetto e di grande aiuto. Aiuta ad entrare nel giusto sentimento. Quello positivo.

E quindi inizio a ripensare alla giornata. Rivedo dei dettagli, degli istanti, degli episodi, selezionando solo quelli che mi hanno lasciato emozioni positive. I primi giorni che ho iniziato a fare questo gioco, me ne venivano in mente pochi, ed a fatica. Poi ho cominciato ad essere più attento durante il giorno, immagazzinando dati, immagini, emozioni. E tutto è diventato molto più semplice. Ora è divertente durante il giorno, perché finisco a cercare ed a notare tutte le cose belle, scartando quelle brutte. E la sera, quando mi ritrovo ad “inseguire la bellezza”, ora ho a disposizione una lista molto lunga di cose piacevoli. Sembra stupido e banale, ma passo parecchi minuti felice. Ed è una positività duratura, che mi porto fino a quando cado nelle braccia di Morfeo. Forse ho capito come resettare la mente e predisporla al pensiero positivo. Solo alle cose belle.

A cosa penso? Cosa rivedo?

Vi faccio qualche esempio: ieri pomeriggio ho visto una coppia di poiane, sembravano mamma e figlio. Sono state a rincorrersi in cielo per quasi un’ora, fingevano assalti, poi si fermavano immobili per qualche secondo, per poi chiudere le ali e gettarsi in picchiata verso il basso. Poi si rincorrevano ancora, sembravano litigare e combattere. Non mi era mai capitato di assistere ad un simile spettacolo. E’ stato bellissimo.

Un altro episodio è successo a me, mentre rientravo in baita. Ero in città ed ho assistito alla scena di una ragazza che rincorreva l’autobus, correva lungo il marciapiede, a circa un centinaio di metri dalla fermata, con l’autobus ancora fermo.  A circa trenta metri, si sono chiuse le porte ed il mezzo è ripartito. Si è fermata. Ansimante. Sconsolata e senza la forza di fare nulla. Io ero in coda, sul Defender ed ho visto l’intera scena. Quando l’ho affiancata, ho abbassato il finestrino destro e le ho detto “Salta su che ti accompagno alla prossima fermata”. Mi ha guardato stupita. E due secondi dopo era già a bordo. Abbiamo raggiunto l’autobus e superato quando si è fermato ad una prima fermata. Alla successiva l’ho fatta scendere. Non so quante volte mi ha detto grazie. Era sincera e piena di gioia. E questo mi ha fatto bene e mi è rimasto dentro.

Un altro ricordo, è la bellezza del bosco che si sta colorando d’autunno. Rientrando in baita ho ammirato, incantato, la natura che mi si parava davanti agli occhi risalendo la strada. Mi ha reso felice. Il mondo è molto bello.

Ecco, questi sono solo tre momenti che mi hanno emozionato. Tre momenti che ho immagazzinato e che ora posso riprendere quando mi concedo un attimo, a fine giornata, per “inseguire la bellezza”.

Non serve dirlo. Angela, in queste settimane, ha monopolizzato i miei momenti di meditazione. Infatti mi sento felicissimo. Mi basta pensare a lei. Ma mi capita a tutte le ore. Giusto così.

 

 

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