Sono rientrato dopo un mese di viaggio. Spettacolare, inaspettato ed entusiasmante. Ho percorso quasi 6.000 km di stradine secondarie, dall’Italia alla Grecia, andata e ritorno, attraverso i balcani, tutto solo con la mia amata moto. E’ diventata quasi umana, una fedele amica che non mi ha mai tradito, ha sopportato ogni strada, ogni buca, caldo torrido, piogge torrenziale, sterrati, navi, traghetti, sorpassi, frenate, curve, canzoni, parolacce, risate. Ed ogni tanto l’accarezzavo, sul lato sinistro del serbatoio, dove so che le piace tanto. Pazzia. O massima felicità. Punti di vista.
Pazzia è, a detta di quei pochi cui ho raccontato cosa ho combinato tra maggio e giugno, la definizione migliore per ciò che ho fatto. No, cari, non è pazzia. E’ vita. Ho vissuto ed ho capito ciò per cui vale la pena vivere. Ho compreso che viaggiare ed esplorare non è altro che seguire la propria indole, quella vocina che tutti abbiamo, che ci parla dall’interno e che, sempre, ci suggerisce ciò che dovremmo fare per stare bene. Lei sa sempre quello che è giusto per noi. Sa cosa ci rende vivi. Non sempre la si ascolta.
Per i più curiosi, sono partito dal Trentino in direzione di Trieste, un sabato mattina, sotto un vero e proprio diluvio. Sono passato per Feltre, per il Friuli, fino ad entrare in Slovenia da Gorizia. Poi giù verso Fiume, sulla costa croata, rimanendo su strade interne, per poi dormire a Barbat, sull’isola Rab. Mi godo un ottima cena ed uno splendido tramonto lungo la passeggiata che costeggia il mare.
Il giorno successivo, sempre percorrendo strade interne e sconosciute ai più, sono sceso fino a Ragusa, in croato Dubrovnik. Tempo splendido, strade meravigliose, senza traffico, attraverso una natura quasi incontaminata. Passando per paesini di campagna e gente che salutava sbracciandosi con il sorriso al mio passaggio. Ed io rispondevo sempre. Ridendo felice. Dubrovnik è splendida, una vecchia città murata piena di vicoletti, affacciata sul mare su un promontorio circolare. Poco turismo a fine maggio. Gente simpatica e cordiale.
Il giorno successivo sempre più a sud, attraverso il Montenegro, la nuova Montecarlo dell’Adriatico, così mi è parso di capire osservando hotel e strutture lussuose, moderne da ricconi, ed infine entro in Albania. Un itinerario tra i boschi e le campagne dell’entroterra, sempre attraverso strade deserte, paesi abbandonati, case bombardate, luoghi in cui vivono solo anziani contadini. Una strana sensazione, come di essere catapultato in un’altra epoca. Posti splendidi ed incontaminati, con una popolazione sorridente e gentile. Ed in testa un pensiero: ma come è possibile che abbiano qui abbiano combattuto una guerra devastante casa per casa solo pochi decenni fa? in nome di cosa? per quali ragioni? Quali risorse dovevano conquistare? visto che non sembra esserci nulla se non campi e boschi. Il dubbio che sia stata l’ennesima guerra voluta dalla Nato e dagli americani si avvicina alla certezza. Ma non rabbuiamoci. Seconda notte con sosta a Scutari – Velipoje.
Non trovavo l’hotel, che avevo prenotato online solo qualche ora prima. Ho girato per circa mezz’ora lungo le stradine di questa che vorrebbe essere una località turistica sul mare, nel nord dell’Albania. Sono passato per cinque volte davanti ad un posto di blocco della polizia, con due poliziotti, appoggiati all’auto, lungo una strada deserta tutta buche, con la paletta in mano che ogni volta mi sorridevano e mi salutavano con la paletta. “Adesso mi fermano”, mi dicevo. Ma nulla. E mi chiedevo: “Ma come è possibile che gli passi davanti uno straniero in moto, per ben cinque volte, lungo questa via in cui non passa anima viva, e non venga loro in mente di fermarlo?”. Alla fine l’ho fatto io. Al sesto passaggio mi sono fermato. Ho tolto il casco e mostrato il telefono. “Hi! I’m looking for Kamberi Hotel”. E questi, sorridenti, mi fanno cenno di seguirli, salgono in auto, accendono i lampeggianti blu sul tetto – quale onore! – e mi scortano fino all’hotel, a poche centinaia di metri, lungo la spiaggia. Trecento metri di buche, due curve e siamo arrivati. Avrebbero potuto darmi le indicazioni in poche parole, ma forse questa era la cosa più impegnativa del pomeriggio. O forse non sapevano in che lingua parlarmi. E forse questa è la ragione per cui non fermano gli stranieri. Chissà.
In hotel mi accoglie un ragazzo moro, alto e simpatico che parla un ottimo italiano. Ho studiato a Bologna. Fa il barista tuttofare e mi offre una birra media. Parliamo dell’Albania, della stagione estiva che stenta a partire, causa maltempo, dei tanti italiani che negli ultimi anni decidono di visitare la terra delle aquile. Mi consiglia di andare a mangiare lungo la spiaggia, percorrendo il lungomare pedonabile per un paio di chilometri, verso il centro città. Mangio molto bene in compagnia di un piccolo cane randagio che paziente attende seduto qualche pezzo di carne. Lungo la spiaggia dormono un sacco di cani randagi, che però sono tranquilli e non si muovono nemmeno avvicinandosi. Rientro in hotel, pensando di essere solo e mi ritrovo il parcheggio invaso da moto. Mi fermo a chiacchierare con una coppia di Slovacchi, motociclisti, ciascuno con la propria moto. Mi complimento con lei ed entrambi si inorgogliscono, fieri che anche la compagna sia in grado di viaggiare con la propria moto, anzichè come passeggera. Li invidio. Credo sia il sogno nascosto di ogni motociclista quello di avere la compagna che guida la moto, disposta a viaggiare in coppia. Stanno scendendo lungo la costa albanese fino a Valona. Sono in viaggio da una settimana. La mattina seguente finiremo a fare colazione assieme ed a percorrere un tratto di strada assieme. Il saluto quando devierò ad un tratto verso destra mi riempie il cuore. Buon viaggio, amici miei. Godetevolo tutto.
Il giorno seguente mi sposto lungo la costa dell’Albania, cercando di evitare i centri più conosciuti e percorrendo strade secondarie che passano per piccoli paesini e boschi incontaminati. La strada sale sui monti ed ogni tanto si aprono le nuvole mostrando il mare in basso. Su di un passo mi fermo in un punto panoramico chiamato Llogara e mi fermo a chiacchierare per una buona mezz’ora con un pazzo motociclista polacco, che sta rientrando a casa dopo aver girato le montagne albanesi. Ne è entusiasta. Mi indica i migliori posti dove dormire e dove mangiare. Lo lascio parlare, è divertente. E’ entusiasta e condividiamo lo stesso spirito di curiosa avventura.
La sera giungo a Saranda, un bellissimo posto sul mare, pieno di vita, hotel, ristoranti e turisti. E’ piacevole, finalmente, ritrovarmi tra la gente, dopo tutti questi chilometri solitari. Hotel molto bello e cena davvero ottima. Il lungomare è uno spettacolo e passo la serata ad ammirare le persone. Sono felice e sereno. Ho percorso già 1.500 km, senza problemi, intoppi e problemi. La moto è un gioiello e la sera ho solo tanto sonno ed un po’ di fame. Nessun dolore muscolare. Sono entusiasta di tutto. E tutto sembra avere un senso.
Da Saranda mi avvio verso il confine greco, percorrendo strade di montagna su cui sembra non esserci passato mai nessuno. Chilometri e chilometri senza incrociare nessuno, poche auto e nessuna moto. Ogni tanto un contadino che saluta felice.
In Albania noto che in ogni paesino le vie principali sono piene di officine auto, sfasciacarrozze, venditori d’auto, carrozzieri ed autolavaggi. Girano un sacco di auto che in Italia sarebbero splendide auto d’epoca e più di una volta mi passa l’idea di fermarmi per acquistarne una da spedire a casa. Gli albanesi guidano invece solo Mercedes. Mercedes di 30 anni, perfettamente funzionanti ed in ottimo stato, e Mercedes moderne da 100 mila euro. Non ci sono auto elettriche o ibride. Solo termiche. Sicuramente qui sanno come far durare le cose e, soprattutto, come aggiustarle in caso di rottura. Non solo autovetture, ma anche elettrodomestici o apparecchiature elettroniche. c
Entro finalmente in Grecia e raggiungo Meteora. Che spettacolo.
In centro del paese mangio una bistecca davvero sublime e la prima insalata greca degna di questo nome. La mattina presto faccio il giro degli otto monasteri rimasti e mi fermo a visitarne due. La vita monacale è affascinante. I luoghi sono davvero ricchi di ispirazione.
Ma la strada è ancora lunga, risalgo in moto e raggiungo Delfi. Al tempio di Apollo devo chiedere un paio di cose alla Pizia. Chissà cosa mi risponderà.
La sera giungo finalmente al porto del Pireo. Ho percorso circa 2.300 km. Spettacolari. Ho fatto pace con me stesso e con il mondo. Ho compreso ciò che desidero. Mi sembra di aver fatto i conti con il passato e con ciò che è stato. Da domani mi godrò un po’ di vacanza, sull’isola di Serifos. Ma, questo, meriterebbe una serie di post incredibili.. per descrivere e raccontare tutto ciò che ho vissuto. Non credo di volerlo fare. Posso solo dire di aver vissuto. E di averlo fatto nella maniera più bella, spettacolare, felice e serena come mai avrei immaginato. Una favola.