Al terzo giorno di silenzio e solitudine la nostalgia si è fatta prepotente. In questi giorni ho alternato ore di passione, ore di tristezza, ore di speranza; e ore di desiderio e felicità assoluta. Mi ero illuso di poterla rivedere, di vederla spuntare dal sentiero che porta alla baita. Ma nessuno è arrivato. Solo pochi turisti che hanno tirato dritto diretti verso il passo.

La testa era un turbinio di pensieri, che ho cercato invano di tenere occupata nei modi più assurdi: ho pulito il bagno, ho fatto una crostata, ho fatto un lungo giro in mountain bike, ho provato a leggere ed ho cercato di scrivere, ma tutto ciò che usciva era confuso e nostalgico. Ho provato anche a respirare e meditare. Inutile. La testa aveva preso una strada incontrollabile.

Da tre giorni ho lei in testa. Rivedo ogni secondo passato assieme. Posso vederla chiaramente tenendo gli occhi chiusi, tenendoli aperti, mentre dormo e mentre pedalo, mentre cammino e mentre leggo un libro. Sempre lei. Sempre i suoi occhi, il suo sorriso, il suo modo di parlare, la sua bocca, le sue mani.

A tratti sembra un incubo, un’ossessione. Ma quasi sempre è un sogno ad occhi aperti. E sono felice quando mi dico che la rivedrò. Sono speranzoso quando mi dico che lei verrà a trovarmi, perchè è qui in questi giorni, perchè sa dove abito, perchè abbiamo passato assieme una serata memorabile. Da romanzo. Tutto sembra un romanzo. E temo che sia finto, che sia finzione. Che non sia vero. Come per Lavinia.

Nel pomeriggio di oggi mi sono detto che dovevo fare qualcosa. Che senso aveva rimanere tutto solo a passare le pene dell’inferno, ad oscillare tra la felicità più assoluta di averla incontrata e di poterla rivedere ed il terrore mostruoso di averla già smarrita? Non era giusto.  Dovevo agire, essere ottimista e propositivo.

Mi sono vestito e mi sono incamminato lungo il sentiero che porta in paese. Oggi è domenica. Da quello che avevo capito sarebbe rimasta in valle ancora qualche giorno. Una decina di giorni aveva detto. Ma, in effetti, era stata un po’ vaga. Mentre camminavo veloce nel bosco pensavo a cosa dirle, a come presentarmi. Nulla. Le avrei semplicemente sorriso. Anzi, tutto sarebbe stato assolutamente naturale. Così avrebbe dovuto andare. Ma se invece la trovavo assiema al suo compagno? Figurati se una meravigliosa donna così se ne viene in montagna, in un posto come questo, tutta sola. Figurati se non vive con qualcuno. Il nostro incontro era destinato ad essere un semplice passaggio piacevole, un fugace e rapido incontro tra due persone che avrebbero forse potuto provare a costruire qualcosa assieme. Parlavo per me. Nulla potevo immaginare di lei. Perché niente sapevo.

Sono arrivato alla fontana, quella in alto al paese. Mi sono fermato a bere. Acqua freschissima e buona. Non capisco quelli che dicono che l’acqua è inodore e insapore. E’ gente che non ha mai bevuto l’acqua di montagna, quella che da noi esce dalle fontane. Buonissima. Altro che inodore e insapore. Ed ora? dove vado? Passo prima al bar, oppure vado diretto in albergo?

Ho allungato la strada passando per il bar. Ho trovato tutti gli allegri vecchietti intenti a chiacchierare, con la partita del campionato di calcio sulla tv. che nessuno seguiva. Mi hanno offerto un bicchiere di vino, ma ho preso un bicchiere grande di succo di sanbuco. Ho scambiato quattro parole, ma confesso che non ero molto in forma con la lingua. Poco loquace. Ero sfasato e sconcentrato. Poco lucido e poco attento. Ed Aldo, quardandomi: “Oh, il bocia è innamorato. Si vede da lontano”. E tutti a prendermi in giro. Ed io non capivo. E dubitavo che in paese fosse già girata la voce che avevo incontrato e trascorso una serata con una meravigliosa creature. Ma no, dai. Impossibile! Ero divertito dalle prese in giro, ma anche sconcertato. Come potevano sapere? E loro, più capivano il mio disagio, più rincaravano la dose. Alla fine ho salutato e me ne sono andato. Peggio delle comari. Che idea che avevo avuto, di passare al bar centrale di domenica pomeriggio. Mannaggia a me.

Ho preso la via del monte verso l’albergo dove mi aveva detto di soggiornare Dafne. Un po’ guardingo, un po’ preoccupato, un po’ spavaldo. Guardingo perchè non avrei voluto mi vedesse prima lei, preoccupato di trovarla con qualcuno, spavaldo perchè mi obbligavo ad essere coraggioso ed impavido. In realtà ero pieno di dubbi. Ma il desiderio di rivederla era il sentimento vincente, quello che mi spingeva, un passo alla volta, ad avvicinarmi all’hotel.

Sono arrivato alla porta, mi sono fatto coraggio ed ho pensato a cosa raccontare. Alla reception ho intravvisto una gentile e carina ragazza, occupata al telefono. Quando mi ha visto entrare le si è illuminato il viso e mi ha sorriso, indicandomi con il dito indice alzato di attendere un secondo, che a breve avrebbe concluso la telefonata.

Ciao, buongiorno. Proprio te” – mi ha detto alzandosi e girando verso quell’antico mobile in legno su cui, ordinate in piccoli scompartimenti, appendevano le chiavi. Ha preso tra le dita una busta bianca e me l’ha consegnata. “Questa è per te. L’ha lasciata l’altro ieri una cliente,  pregandoci di fartela avere. Aveva detto che saresti sicuramente venuto a prenderla. Tu sei Adam, vero? quello della baita all’alpeggio, giusto? Sei piuttosto conosciuto qui.  – pausa – Anche perchè qui ci si conosce tutti.” – Ha aggiunto, quasi per giustificare la questione, vedendo la mia espressione sconcertata.

Era rimasto senza parole. Tutti i miei discorsi immaginati e preparati non servivano a nulla. Come sempre. Quando cerchi di programmare qualcosa, poi la vita ti consegna uno scenario diverso, a cui nemmeno avevi pensato. E devi improvvisare. Sei costretto a vivere il momento, sincero e naturale. Esce ciò che sei. Nel bene e nel male.

Grazie.” – ho risposto prendendo la busta – “Ma la cliente, Dafne, giusto?, sai dove posso trovarla?”

La signorina Ferrari ha lasciato l’albergo venerdi mattina, per un impegno improvviso di lavoro”.

A quelle parole mi si è fermato il cuore. Come!? davvero se n’era andata!? Così!? senza salutarmi? Senza avvisarmi?  Ma un secondo dopo ragionavo che, come io non conoscevo nulla di lei, altrettanto si poteva di dire per lei. Come avrebbe potuto avvisarmi? E, soprattuto, perché avrebbe dovuto avvisarmi? Cosa mi aspettavo?

Scusa, ma ti ha dato questa busta per me? E che ti ha detto?

Venerdi mattina ci ha comunicato che per un’urgenza di lavoro avrebbe interrotto il soggiorno. E, poco prima di uscire, mi ha ha chiesto se ti conoscessi e quindi di poterti far avere questa busta. Era certa che saresti passato.

Aveva notato la mia delusione. Aveva forse capito tutto. Ed aveva proseguito: “Non preoccuparti, ci ha chiesto se fosse possibile recuperare la settimana prenotata che mancava. Le abbiamo detto che certo, non c’era alcun problema e che le avremmo volentieri fatto proseguire il soggiorno non appena avesse voluto.”

Bene, questo era incoraggiante. Per due motivi: uno, aveva ancora una settimana da trascorrere qui in montagna, due, aveva intenzione di ritornare. Adesso rimaneva la questione della busta che non avevo il coraggio di aprire. Non lì. Non subito.

Grazie, allora. Sei stata molto gentile. Ti auguro buon lavoro e una buona serata.” –  e me ne sono uscito, confuso, dall’albergo. Quasi scappando come un artificere con una bomba in mano pronta ed esplodere al minimo scossone. Con la busta bianca in mano. Sopra c’era una lettera A maiuscola, scritta a penna. E dentro sembrava esserci una lettera. Una lettera di addio? una lettera di spiegazioni? una lettera del tipo, mi piaci, ma non posso iniziare una storia senza futuro? una lettera di amore folle? Ho cercato di fermare il cervello, che aveva preso a macinare pensieri ed a creare mille e mille ipotesi e teoria. Stavo impazzendo. Di nuovo. Prima vedevo un fantasma. Ora una pazza che mi dava il benservito con una lettera. E tutto per colpa di quella baita, quel rudere che stava sui prati di fronte a me.

Mi sono incamminato verso casa. Sul sentiero nel bosco, con in mano la lettera che pesava come un macigno. L’ho pure annusata. Non aveva particolari odori, ma, sotto sotto, io ci volevo sentiere il suo profumo. Il profumo di Dafne. Quella Dafne che se n’era andata veloce, così come era arrivata.

L’avrei aperta in baita. Stasera. Con calma. Seduto sulla mia poltrona, con non due , temo, ma almeno dieci bicchieri di grappa vicino. Pronti all’uso. Pronti a farmi dormire. A stordirmi e farmi dormire senza pensieri.

 

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