Ieri mattina sono salito quasi in cima alla valle. Il bosco sta iniziando a cambiare, ad ingiallire. L’aria era fresca e frizzante. A terra l’umidità della notte sembrava pioggia caduta nella notte. I cambi di stagione, l’arrivo dell’autunno e della primavera, hanno sempre un certo fascino ed anche un certo potere. Sono periodi particolari. Come tutti i momenti di grande cambiamento. In questi giorni, oltretutto siamo vicini al plenilunio. C’è una strana energia nell’aria. Carica ma a tratti opprime.

Sono salito fino a poche centinaia di metri dal rifugio, ora chiuso nelle giornate infrasettimanali. Poco sotto l’edificio si apre una bellissima vallata, in cui scorre il torrente che riceve, proprio in quel tratto, un sacco di piccoli torrenti che scendono rapidi dalle cime circostanti. E’ un piccolo luogo molto verde, pieno di marmotte che hanno casa tra i massi lungo i pendii. Il terreno è pieno di profonde buche.

Mi sono seduto al sole, su un grande masso bianco, ad ammirare il paesaggio. Amo la montagna. Qui mi sento vivo e parte dell’universo. Anche semplicemente stando seduto, fermo, su di sasso nel bosco. Sto cercando di capire ed interpretare tutte le novità di questi ultimi giorni, a partire, ovviamente, dall’incontro con Angela. Anzi, dagli incontri con Angela.

Argo era salito con me lungo il sentiero e correva impazzito, cacciando farfalle e annusando le tane delle marmotte, che ogni tanto fischiavano, piò o meno lontane, in allerta. Mi sono tolto le scarpe e mi sono immerso fino alle ginocchia nelle acque gelide, nel punto in cui il torrente curvava e formava una sorta di piccola spiaggia dall’acqua quieta e limpidissima. Ho resistito per un paio di volte solo una ventina di secondi al massimo, prima di scappare sul prato, con il gelo che sembrava risalire le ossa e le vene, dai piedi, in su, verso le cosce. Questi sono i veri piaceri della vita, altro che l’aperitivo al bar con le patatine ed il telefonino che vibra sul tavolo. Il freddo che ti entra. E che poi ti lascia caldissimo. D’altronde, cos’è il freddo? non è forse l’assenza di calore? Caldo e freddo sono la stessa faccia della medesima cosa. Siamo noi a misurare ed a vedere la stessa cosa ma in maniera differente. La prospettiva con cui si osservano le cose cambia ciò che vediamo. Spesso vediamo solo ciò che vogliamo vedere.

Come da bambino, ho iniziato a buttare pezzi di legno, foglie e qualsiasi cosa galleggiante nel torrente. In un attimo correvano via veloci, tra la schiuma ed i sassi. Ho pensato che erano pezzi in balia della corrente, incapaci di decidere dove andare, dove girare e dove fermarsi. Mi è tornato in mente un ricordo, quando al lago di bled, qualche anno fa, avevamo noleggiato una piccola barca a remi per raggiungere l’isola al centro del lago, su cui sorge la chiesa di S.Maria Assunta. La distanza tra la spiaggia e l’isola è di qualche centinaio di metri. Una volta a bordo, in quattro, mi sono messo a remare. Non lo avevo mai fatto prima. E la prima sensazione è stata quella di non esserne capace. Innanzi tutto, chi rema e chi comanda la barca è posizionato di schiena rispetto al senso di marcia. La destinazione rimane quindi alle spalle. Invisibile. L’unica soluzione è quella di prendere qualche riferimento in fronte e di lato, e partire. Ogni tanto è necessario rallentare, girarsi e vedere quanto si è lontani dalla meta e, soprattutto, se si sta andando nella giusta direzione. Un’ulteriore difficoltà arriva dalla corrente o dalle onde contrarie al nostro senso di marcia. Lo sforzo sarà quindi più o meno intenso. E’ poi è estremamente difficile coordinare i movimenti, bisogna imparare lo stile, affinare il metodo, capendo che entrambe le braccia dovranno lavorare in sincronia per riuscire a mantenere la direzione diritta. Se il movimento non è assolutamente speculare, la barca inizierà a girare. Questo è il metodo per cambiare direzione, ma, spesso, è semplicemente l’errore che ti porterà lontano dalla via diritta. E poi c’è la questione del ritmo. La difficoltà iniziale è partire, concentrarsi sui movimenti coordinati e mantenere un buon ritmo. Buon ritmo di remata, significa più velocità e, controintuitivo, meno sforzo sui remi, perché lo sforzo maggiore è per acquistare velocità. Una volta raggiunta, l’abbrivio della barca sull’acqua sarà un grandissimo aiuto, che permetterà di coprire molti metri senza dover forzare, semplicemente lasciando scorrere.

Sul quel masso, osservando una corteccia che spariva veloce e senza controllo nelle acque fredde del torrente, ho pensato che la conduzione di una barca a remi è paragonabile alla vita, una sorta di similitudine. Si parte con un obiettivo, una meta, che si raggiunge continuando a modificare la rotta, ben sapendo dove sta l’obiettivo, ma orientandoci solo guardando indietro, al passato, oppure a lato, al presente. Poi serve ritmo, per fare meno fatica. Poi serve forza, perseveranza, voglia di superare le difficoltà che inevitabilmente ci frappongono tra noi e la meta, come le onde e la corrente contraria. Poi ci sono le inevitabili deviazioni, da correggere mano a mano che si procede.

Ho pensato molto ed a lungo su quel sasso. Anche (soprattutto) ad Angela. Mi ero abituato a lei in questi giorni, nonostante si abbia trascorso assieme solo poche ore. Anche se, ancora, siamo due perfetti sconosciuti. Non conosco nemmeno il suo cognome, ne il suo numero di telefonino, nemmeno dove abita e cosa fa di lavoro. Non sono triste, comunque. Per due ragioni: perchè sono sicuro che ci rivedremo, e perchè, se anche decidesse di sparire, passata la delusione, mi rimarrebbero comunque dei ricordi fantastici. E’ stata importante. Mi ha aperto su tante cose. C’è una terza ragione: perchè sono in cuor mio speranzoso che anche lei abbia provato qualcosa. Ci spero.

Il ritorno alla baita è stato veloce e tranquillo. Il sole era basso sulle montagne e la temperatura era bruscamente scesa. Arrivato davanti alla porta ho visto un qualcosa per terra, proprio davanti all’uscio. Un foglio di colore giallo, a colori, strappato da un’agenda, piegato in due. Stava per terra, sul pezzo di legno dello stipite, con sopra un sasso che aveva vagamente la forma di un cuore. Il mio, di cuore, ha iniziato a battere veloce e rumoroso. Impaziente sono entrato in casa, con il foglio ancora piegato nella mano sinistra ed il sasso nella destra. Mi sono seduto sulla mia poltrona preferita. Morivo dalla voglia di leggere, ma dovevo tranquillizzarmi.

Ok, posso farcela.

Era un messaggio di Angela. Perlomeno era firmato in basso con una lettera A maiuscola e puntata. E la calligrafia era sicuramente femminile. Ho portato il foglio al naso, cercando di sentirne il profumo, ma niente, sapeva odore di un vecchio foglio di carta.

Il testo era una splendida poesia, scritta da tale Martha Mediros, che non so chi sia, intitolata Lentamente muore. Ecco la poesia, la ricopio qui.

Lentamente muore

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi fa della televisione il suo guru.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo quando è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.”

Alla fine, solo una frase, scritta da Angela: “Un passo alla volta. A.”

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