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In questi giorni mi sono sentito ingarbugliato. La testa che girava a vuoto, con una questione in testa che non voleva andarsene. Ho provato ad allontanarla, ma lei tornava. Ho orientato i pensieri ad altro. Ma quel pensiero era sempre li. Che mi aspettava. Ma non capivo come affrontarlo.

Il pensiero riguardava quella splendida creatura meravigliosa che una decina di giorni fa è spuntata improvvisa ed inaspettata dal bosco. Pensavo di aver trovato la mia serenità, qui in baita, con il cane, isolato, nella natura.

Ogni tanto per lavoro me ne vado in giro, e questo mi rigenera e mi permette di tornare nel mondo, tra gli umani, tra la gente. Poi sento il bisogno di scappare e di tornarmene da solo.

Pensavo che la vita potesse andare bene seguendo questa routine. Baita, solitudine, città, gente. Riposo e impegno. Caricarsi e scaricarsi. Pensavo di stare bene da solo.  Poi spunta lei e mi spariglia le carte.

Pensavo di stare bene. In equilibrio. Ma mi sono accorto che mi mancava qualcosa. Qualcosa di grande e di enorme. Qualcosa che è raro trovare. Mi sono sentito innamorato, improvvisamente pieno di amore e di voglia di fare, di osare, di esplorare. L’ho capito quando l’ho persa. Quando lei è sparita dalla vista, ma è rimasta nei miei pensieri.

Oggi l’ho rivista. Ci siamo visti. Due volte.

Ci siamo incrociati in paese, per caso, come due ragazzini, impacciati, desiderosi di toccarci, ma incapaci di fare il primo passo. Io avevo le mani occupate dalle borse con la spesa, lei teneva il cane con una mano e nell’altra pure lei aveva un sacchetto con una bottiglia di latte che spuntava in alto tra le foglie d’insalata.

“ciao, che sorpresa”

“ciao, si, è vero, una sorpresa. Se non fosse per Cleo che ha iniziato a tirare verso di te, forse io non ti avrei nemmeno visto”

“come stai? tutto bene?”

“si sto bene, grazie. E te?”

Dio che colloquio stupido. Avrei voluto gettare tutto all’aria ed abbracciarla, coprirla di baci, dirle ” ma dove sei sparita? ti ho cercato come un folle disperato! ti prego, vieni via con me, rimani con me, non me ne frega nulla ora di come stai, sei qui, vedo che stai bene, io ho bisogno di stare con te”.

Invece io: “Io pure, grazie. Sto bene. Un po’ stanco. Un po’ qui, un po’ in giro a lavorare”

Poi silenzio.

A quel punto lei, per spezzare quei secondi di imbarazzante stupido adoloscenziale vuoto pneumatico: “Vabbè, felice di averti rivisto. Devo andare, che ho la spesa da mettere in frigo”

Che cazzo di risposta. Poi, che razza di giustificazione sarebbe? La spesa da mettere in frigo?

Nemmeno finito di pensare alla inconsistenza della scusa, che lei si era già incamminata.

“Non vai più a camminare? se passi dalle mie parte, passa a trovarmi”, ho avuto il coraggio di dirle dietro.

“certo, va bene. A presto”

Il tragitto di ritorno, dal paese alla baita non mi è mai sembrato così pesante. Ero felice di averla rivista. Ma deluso per come era andata. Era bella, felice, stava bene. Ma era anche lontana e distaccata. Quasi che quello che c’era stato non fosse mai accaduto. Forse l’avevo sognato. Forse stavo impazzendo, sognavo cose che pensavo vere. Oppure, più semplicemente, mi ero illuso che la botta di emozione che avevo provato, fosse stata tale e quale anche per lei.

E risalendo ho pensato, pensato e ripensato. E sono entrato in baita. Ed ho pensato, pensato e ripensato. Sono uno che pensa molto, osserva, scruta, nota, immagina. Ma difficilmente rimurgino oppure mi perdo in stupide elucubrazioni e voli pindarici.  Eppure questo pomeriggio ho pensato un sacco a lei. A cosa mi ero immaginato. A cosa credevo di provare. A cosa mi ero illuso lei avesse provato per me.

Ho passato il pomeriggio lavorando, dedicandomi alle email e facendo qualche telefonata di lavoro. Ma ero sconcentrato. Assolutamente fuori fase. Con mezza testa sempre dedicata a pensare a lei. Verso le cinque del pomeriggio, mi ero appena seduto in poltrona ansioso di iniziare uno dei nuovi libri che la mattina mi erano arrivati da amazon e che avevo ritirato al bazar,  sento battere alla porta. Dal piccolo vetro smerigliato a forma di rombo inserito nel legno intravvedevo l’ombra di una persona all’esterno. Quale sorpresa ad aprire la porta e vedere Angela. Proprio lei. In carne ed ossa. Sorridente, felice, con quegli occhioni in cui mi ci vorrei tuffare ogni volta, per sparire nelle loro profondità. E non riemergere più.

“ciao! hai visto che sono passata a trovarti? ti disturbo?”

“ciao! no che non disturbi, anzi. Che bella sorpresa. Entra entra”

Scherzando sul the delle cinque, ci siamo davvero concessi un paio di tazze di the con una fetta di crostata, avanzata da quella che avevo fatto ieri. Si, capita. Bisogna volersi bene. Ed ogni tanto mi preparo un dolce o una torta. Mi vengono bene, mi piacciono e mi rendono piacevole la colazione, che altrimenti rischierei di saltare.

Abbiamo trascorso un paio d’ore assieme. Seduti vicini, con qualche carezza sulle mani e sulle guance. E ci siamo a lungo guardati negli occhi. C’era qualcosa ma non quel fuoco degli scorsi giorni. Non capivo. Ero confuso. La volevo ma non capivo il suo gioco. Non mi cerca, poi ricompare, ma quando è qui sembra distante. E la mia mente è in confusione. Perchè io sono un modello base, di quelli semplici, facili, banali. Domande dirette e risposte semplici. Invece la situazione era ingarbugliata. Avrei dovuto capire qualcosa? Avrei forse dovuto interpretare qualcosa? Ma cosa? Ma cosa voleva da me, alla fine? Voleva quello che volevo io? Era in grado di darmelo?  Ed io cosa potevo darle?

Siamo arrivati infine a parlare di noi. Di quanto era successo. Mi sono aperto. Le ho detto ciò che provavo, che quello che c’era stato era amore, amore vero. Che le emozioni sono state enormi, che non le avevo cercate, ma che erano arrivate così potenti ed inaspettate. Che ero impreparato. Che non capivo. Che ero confuso. Che mi trovavo in una situazione particolare, che stavo scappando dalla gente, ma che quando pensavo di essere sufficientemente lontano mi è capitata lei. A fami capire che le emozioni, che l’amore, forse sono l’unica cosa per la quale vale la pena vivere. Perchè sono ciò che ci fanno vivere. Perchè quando mancano il nostro cuore è arido e la nostra mente spenta. Che non sapevo ciò che volevo. Che non volevo perderla ma che non potevo in questo momento offrirle quasi nulla. Ma cosa voleva, davvero lei? Cosa stava cercando?

E lei, finalmente, ha espresso qualcosa. Qualcosa simile ad un ti dico ma non ho detto. Non è pronta per una storia. Come non lo sono io. Lo vorrei, ma non posso. Non ora. Ho altre questioni da risolvere. Ha provato qualcosa, ma, così ho interpretato, non ai miei livelli. Esce da una lunga storia. Vuole capire. Non si sente pronta. Pensa che una scopatina di quanto in quanto possa essere un ottimo sollievo. Come darle torto. Ma per me non è così. Non cerco la scopatina, non cerco la seratina erotica. Perchè il corpo funzioni è necessario che la mente sia connessa. Le due menti devono essere connesse, ricercare quel momento di simbiosi, di unione spirituale che poi si corona nell’unione fisica. La sola unione fisica è bella, appagante, ma fugace e triste. Ti può lasciare delusione. A volte tristezza. E’ mero appagamento fisico. Altra cosa da quello mentale. Che diventa appagamento del cuore. Che lo riempie e lo rianima. Che lo fa battere forte, pompando amore e ossigeno alla mente. E giù ancora, dalla mente al cuore.

E poi mi è venuta in mente la bilancia. Con piselli e patate. Ho compreso che amare è dare, certo, donarsi agli altri. Ma non funziona se non è bilanciata da un pari dono. L’amore platonico è una stronzata colossale. L’amore univoco, quello non ricambiato, è alla fine solo dolore. Ti illudi che possa andare, perchè provi l’ebrezza dell’abbandono all’altro, del sogno, del desiderio. Ma alla lunga logora, spezza, fa male. La bilancia deve essere in equilibrio. Può oscillare, anzi, lo deve fare, ma a volte il maggior peso dell’uno deve riequilibrare le mancanze temporanee dell’altro. Su e giù. Oscillando. E quando la bilancia è in equilibrio, allora quello è vero amore. Quello che merita di essere vissuto, che può durare a lungo. Forse per sempre.

Ma una bilancia in cui uno pesa molto e l’altro si fa leggero, bhe, alla fine sarà talmente sbilanciata che farà cadere tutto.

Quando l’ho salutata, con un bacio. Non lo avevo ancora capito. La volevo, tanto, avrei voluto stare con lei. Ancora ed ancora. La sera, la notte, domani… e domani ancora.

L’ho vista allontanarsi, la pila che illuminava il sentiero. Sono tornato a sedermi in poltrona. Qualcosa mi sfuggiva. Ho preso il libro ed iniziato a leggere. Ad un tratto il pensiero si è fatto chiaro. Avevo letto due pagine, ma la testa era altrove. A trovare la risposta: che una bilancia sbilanciata non può andare. Che puoi anche trovare la persona giusta, ma perchè funzioni, la cosa deve essere reciproca. Ed ho capito che non è una scopatina quella che cerco. Cerco amore. E non è isolandomi tra i monti che lo troverò.

Chissà se la rivedrò. Sicuramente accadrà. Se salirà sulla bilancia, sarò costretto a misurare il suo peso. Perchè se non sarà pari al mio, bhe, sarò io a saltare giù dal piatto.

 

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