Di solito mi viene voglia di scrivere la sera, quando il buio circonda la baita ed il bosco si fa silenzioso. Solo di notte, il bosco riprende a farsi rumoroso. Me ne accorgo quando sono a letto in procinto di addormentarmi, quando i rumori esterni si fanno molteplici e più vivaci. Ancora non riconosco i versi degli animali.  Per chi non ha mai avuto l’occasione di stare all’aperto in un bosco di notte, vi assicuro che è un’esperienza particolare. Ad alcuni potrebbe piacere, ad altri potrebbe far paura. Io non faccio testo, visto che ascolto i suoni ed i rumori stando in casa, oppure in prossimità di essa. Male che vada, mi rintano dentro. Forse non sarei così spavaldo a trascorrere la notte in una tendina all’aperto.

Ma non è di questo che volevo scrivere. Scrivo perché mi fa star bene e, soprattutto, perché ho sempre un sacco di cosa da appuntarmi ed annotare, e mi piace farlo in maniera diversa, raccontandole a mo’ di storia. E’ bello rileggere le cose, tempo dopo. Scrivo per me stesso, se qualcuno se lo stesse chiedendo. Mi fa stare bene. Scrivo di getto e mi rilasso.

Questa mattina ho fatto parecchi viaggi dalla baita alla macchina e viceversa. La scorsa settimana mi sono arrivati tre cartoni di vecchi libri, acquistati in saldo su Ebay, da una vecchia libreria che svendeva tutto per cessata attività. Un sacrilegio. Un peccato. Quando ho letto l’annuncio non ho resistito ed ho partecipato e vinto tre delle aste. I cartoni zeppi di libri erano venduti a peso. Non c’era l’elenco completo dei titoli, ma solo un breve succinto breve indice con alcuni titoli. Erano romanzi classici, libri di filosofia ed alcuni testi universitari. Ho passato quindi gran parte della giornata a spacchettare, sfogliare i libri, aprirne una pagina a caso e leggerne alcuni paragrafi. Tranne un paio di romanzi rosa, il resto erano dei classici. Ci ho trovato, ad esempio, dei testi di filosofia, tipo Filosofia della politica di Antonio Rosmini, Risposte sul senso della vita del Dalai Lama, Il Capitale di Marx, Il codice dell’anima e L’anima del mondo e il pensiero del cuore di Jemae Hillman, e molti altri. Libri ed autori che, confesso, in gran parte non conoscevo.

Ho trovato dei brani interessanti. Molto. A volte, sempre più spesso, ad essere sincero, credo che le cose non capitino per caso. Altre volte mi accontento di pensare che è bello anche solo crederlo, che ci sia un qualcosa di casuale ma predefinito, che ogni cosa sia un tassello lungo un percorso prestabilito. Questa riflessione l’ho fatta pure oggi, aprendo a casa alcune pagine.

Ad esempio, a pagina 135 de L’anima del mondo e il pensiero del cuore si legge: Possiamo, per esempio, rispondere con il cuore, ridestare il cuore . Nel mondo antico, l’organo della percezione era il cuore, il quale, attraverso i sensi, era direttamente collegato con le cose . La parola per indicare la percezione o sensazione in greco era aisthesis, la cui radice rimanda a un inspirare, a un accogliere il mondo all ‘interno, quel trattenere il fiato – Aha! Uh ! – per la meraviglia, lo shock, lo stupore, una risposta estetica all’immagine (eidolon) che ci si presenta.

Non so cosa significhi, soprattutto preso fuori contesto, ma mi sono sembrate parole molto piene di idee. Parole pensate. Credo possa essere un libro da leggere prima possibile. Sullo stesso libro ho trovato questa:  “Quando il cuore pensa lo fa per immagini”, una frase che ho riscritto sulla mia fidata moleskine blu.

Ho riempito quasi una parete della libreria. Credo che la mia sia l’unica baita di montagna con una ampia e alta doppia parete sulla quale è stata costruita una libreria. L’ho fatta io, da solo, e ne vado fiero. Mensole che ora sto popolando. Con dei libri vecchi, che puzzano di libri vecchi, di altri libri vecchi, di inchiostro, carta ingiallita e copertine in cuoio. Ne vado fiero. Mi sento meno solo con tutti i miei nuovi libri. Ne comprerò altri.

Ora sono seduto in poltrona, una vecchia poltrona in pelle marrone lisa e strappata in alcuni punti, molto british ed anche molto fuori luogo. E’ questo che mi piace. Il contrasto. L’essere fuori dagli schemi. Appena si entra nella baita, proprio sulla parete di fronte, nell’angolo della casa, c’è la poltrona, con la libreria ad angolo, alta da terra al soffitto, con un buco quadrato per la finestra, dalla quale si vede il prato sul retro della baita. Sembra quasi un angolo di una vecchia dimora ottocentesca della campagna inglese. Invece siamo sulle dolomiti, in una baita mezza in legno, circondata da boschi ed alte cime.

Ho sistemato i libri in ordine, ma senza una logica, con la sola accortezza di tenere in un ripiano quelli che mi hanno incuriosito maggiormente. Saranno quelli che leggerò per primi.

Ora sono qui. Seduto in poltrona, con la stufa accesa, che scrivo queste parole.

Questo pomeriggio, terminato di sistemare la libreria, sono uscito per respirare un po’ d’aria fresca, che la polvere dei libri iniziava a darmi noia. Sono finito al fiume. Di fronte alla baita, alla fine del prato, scorre il torrente. Lungo il torrente si inerpica il sentiero che dal paese sale al rifugio e poi, volendo, al passo. E’ il sentiero di Angela, ed ogni volta che mi giro mi immagino di vederla arrivare. Mi manca, ma sto capendo che non ci devo pensare troppo. O meglio, mi capita di pensarla, ma cerco di spostare il pensiero sul lato positivo, ricordando con veloci immagini i momenti trascorsi assieme e pensando che, magari, un giorno tornerà a trovarmi.

Sono sceso al torrente, mi sono tolto le scarpe, sfilato i calzini e mi sono avventurato nell’acqua gelida. Che era fredda, ma meno di quanto mi aspettassi. Ho sciacquato le mani e mi sono seduto su una pietra rotonda, con i piedi in ammollo in una specie di spiaggetta naturale. Il cielo era di un bell’azzurro limpido. Il sole scaldava la pietra ed il mio cuore. Ho pensato che quello che ci frega, spesso, sono le aspettative. Il nostro mondo, quello che ci costruiamo con i nostri pensieri, è pieno di aspettative. Sono probabilmente il frutto del nostro pensare al futuro, del programmare il tempo che ci aspetta, del guardare avanti. Ma le aspettative, spesso, sono anche fonte di delusione. Perché non sono certezze, ma attese. E non sempre, anzi, a dire il vero quasi mai, le cose vanno come ci si aspetta. E non possiamo pensare di controllare nulla al di fuori di noi. Addirittura, alcune volte non siamo nemmeno in grado di controllare noi stessi ed i nostri pensieri.

Quindi, al fiume, con i piedi nell’acqua gelida ed il culo sulla pietra calda, ricordando mia nonna che diceva sempre “che la sia calda o la sia freda, mai sentarse sulla preda“, ho capito che non bisogna contare troppo sulle aspettative. Bisogna lasciarle dove sono, relegate al ruolo di sogno e desiderio. Perché questa è la strategia vincente: se si avverano, si potrà godere della gioia e della sorpresa dell’evento sperato, ma inatteso. Se non si avverano, non saremo presi da troppa tristezza e sconforto, perché ci saremo già rassegnati a non contarci troppo.

Quando mi sono reso conto che il gelo stava congelando irrimediabilmente le vene delle gambe, e già immaginavo le dita blu in cancrena dei piedi, stile scalata all’everest, sono uscito dal fiume ed mi sono incamminato scalzo verso casa. E’ stato divertente. Ho pensato che lo potrei rifare ancora, di scendere al fiume senza scarpe. Senza un motivo. Solo per sentirmi davvero montanaro.

Ora vado a dormire. Con un nuovo libro. Vecchio, ma a cui ho dato nuova vita. A domani, mondo.  A domani, voi 15 persone misteriose e sconosciute che leggete queste pagine, ogni post. Un bacio anche a quella persona, che ipotizzo sia di genere femminile, che a volte mi lascia un cuore in fondo alla pagine. L’ho notato. E lo apprezzo molto. Continua a farlo.

 

Write A Comment