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Ieri al fiume ho fatto un collegamento tra imprese e persone, tra i concetti aziendali e quelli esistenziali. Alla fine sono la stessa questione, affrontata da un diverso punto di vista. Capire quale sia il nostro scopo, cosa si sta cercando nella vita, cosa si vuole veramente e, soprattutto, chi si vuole essere davvero, tutte queste domande dovremmo porcele tutti. Non solo per i nuovi progetti imprenditoriali. Non tanto per creare dubbi, quanto per trovare risposte e certezze.

Nel mondo economico ed aziendale, specie nella fase di studio e di pianificazione per la nascita di una startup, ad esempio, si pone molta attenzione a definirne lo scopo. Lo scopo non è altro che la ragione per la quale si vuole intraprendere una certa impresa. Molto spesso si cerca di individuare un bisogno, una nicchia, un problema da risolvere. Questo approccio porta allo sviluppo di una soluzione che si pensa diversa dalle altre, migliore per qualche caratteristica, se non addirittura innovativa, che possa avere successo nel mercato.

Nella vita reale difficilmente ci si pone queste domande. Accade anche nelle imprese, in cui queste domande si affrontano solo in fase di startup, mentre invece dovrebbero essere poste all’attenzione di chi guida costantemente. Ogni anno. Ad ogni bilancio. Chi siamo? cosa vorremmo essere? dove siamo rispetto al nostro obiettivo ed alle nostre più vere ragioni d’essere? Siamo sulla strada giusta? Abbiamo affianco le giuste persone?

Siamo tutti troppo impegnati a vivere una vita omologata, un’esistenza che segue un modello standard e prestabilito dagli altri. Deciso dalla società, dalla cultura, dalla famiglia, dalle tradizioni di chi ha vissuto prima di noi. Questo implica non porsi domande, che potrebbero essere scomode. Significa seguire il pensiero prestabilito, perché è quello con  meno difficoltà e che tutti vogliono che venga seguito. I diversi sono scomodi. Non sempre ben accetti. La società consumistica e fortemente digitalizzata ce lo impone costantemente. Questo è il modello. A questo dobbiamo adattarci.

Ed a coloro che si pongono queste questioni, sul chi vogliamo essere e cosa vogliamo dalla vita, arrivano le prime difficoltà, legate ad una seconda  domanda: dove si trova la risposta a questi interrogativi? Sono dentro ciascuno di noi. Dove ci sono da sempre, ben nascosti, ma presenti fin dall’inizio.

Da quando sono in baita la vita mi è passata davanti molte volte. Qui riesco a rilassarmi, a pensare con calma, ad aprire la mente con serenità. Ripenso al passato, riesco ad apprezzarlo ed a godere delle cose che ho vissuto. Mi rendo conto di aver cambiato radicalmente abitudini. Ho cambiato modo di pensare, ed i pensieri diversi hanno costruito una visione diversa. E questo diverso modo di vedere le cose mi ha fatto riflettere sul fatto che viviamo e vediamo un mondo che spesso non ci appartiene. Perché non siamo in sintonia con questa realtà, realtà che ci siamo costruiti da soli, spesso copiando dagli altri, spesso adattandoci alla realtà ed alla visione degli altri.

Per cambiare il mondo dobbiamo partire capendo che è necessario cambiare noi stessi, il nostro modo di pensare. Difficile farlo, se non sappiamo chi siamo. Diventiamo ciò che pensiamo, perché i pensieri controllano i sentimenti ed i sentimenti controllano le nostre azioni. Se cambiamo pensieri, cambieremo i nostri comportamenti. Dobbiamo immaginare chi vogliamo essere e dove vogliamo andare. Se non lo facciamo,  manca la consapevolezza e la sicurezza di chi siamo, rimaniamo intrappolati in un mondo che non ci appartiene.

Pensiamo talvolta di essere qualcuno perché possediamo qualcosa. Ma questo è un errore. Perché le cose ci incatenano ad un mondo fisico, lontano dal vero noi, che invece è mentale e spirituale. Il mondo materiale, le cose, finiscono per controllare le nostre azioni, a dirigere i nostri pensieri sempre verso il loro esaudimento. Dobbiamo allontanarci da questo controllo. Ma costa fatica. E serve motivazione. Serve volerlo fare.

Se non ci si rende conto di tutto questo si rischia di vivere una vita non nostra. Si subisce la vita. Non si vive la vita. Non la nostra. E la vita è una sola e nessuno conosce il momento in cui ci verrà tolta.

La felicità si raggiunge, forse, solo prendendo coscienza sul dove ci si trova e dove si sta andando. Con fatica si decide di incamminarsi verso quella direzione che sentiamo sia il nostro traguardo. Ci si troverà soli, isolati, con gli altri pronti a giudicare, ad additare e a commentare. Dobbiamo resistere. Non guardare agli altri ma concentrarsi su di noi, perché ognuno è diverso e dovrà da solo trovare il proprio percorso. A volte. lungo la strada, ci affiancheranno persone che la pensano come noi. magari più avanti nel percorso, o solo più veloci. Confrontiamoci, apriamoci a loro. Saranno di grande aiuto, stimolo e conforto. Ma lasciamo andare e scacciamo quelli che invece ci saranno ostili. Non abbiamo bisogno di loro. Saranno solo delle zavorre che rallentano il nostro cammino.

Probabilmente la felicità non è un momento, ma un percorso. E’ la strada definita verso ciò che vogliamo essere.

Scalzo e con i piedi nel torrente, ho ripensato al libro di ieri, che parla del pensiero, del cuore e delle immagini. Le immagini sono potenti. bisogna decidere cosa si vuole e bisogna iniziare a pensarlo. Ad immaginarselo. Bisogna pensare a come poterlo ottenere, a come poterlo fare. Pensare a come poterlo fare ci aiuterà ad immaginarlo. A vederlo. Ad identificarne l’immagine. L’immagine sarà il nostro obiettivo, la nostra prima meta. Perché una volta raggiunta, durante il cammino molto probabilmente nasceranno nuove consapevolezze che porteranno all’elaborazione di nuovi percorsi verso nuove mete.

 

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