Sono almeno tre giorni che ho in testa lei. Un pensiero fisso, di quelli belli e piacevoli. Lavinia. Un bel nome. Sembra antico, di quelli aristocratici. Vorrei rivederla. Anzi, ho una voglia pazza di rivederla. Avrei così tante cose da chiederle.

Così, stamattina, in preda a questo scombussolamento psico-ormonale-adolescenziale ho deciso di scendere in paese a fare un po’ di spesa. Dovevo fare qualcosa, dovevo fare movimento, impegnare il cervello ed il corpo.

Il bazar del paese è sempre un luogo divertentissimo da visitare, al di là della incredibile capacità di tenere un assortimento di merci analogo ad un centro commerciale cittadino, in circa 60 metri quadri. Ci trovi dalle scarpe alle padelle, dalle mutande al caffè, dalla frutta e verdura alle penne di Peppa Pig. Per non dimenticare giornali, riviste, libri, giocattoli e quaderni. Anche questi di Peppa Pig. Anche se oggi ho intravvisto pure Spider Man e Masha e l’orso. La signora alla cassa è una simpatica signora di circa sessant’anni. Cicciotta e sempre allegra. Con le guancette rubiconde come se sotto al bancone avesse una bottiglia di grappa dalla quale ogni tanto farsi un cicchetto.

Mi riconosce sempre e conosce il mio nome. Sa pure che sono quello della “baita alta”, il cittadino che ogni tanto sverna in montagna. E’ la moglie dell’ex sindaco e qualche volte so che si occupa dei fornelli quando in baita da me organizzano serate ed incontri estivi. Probabilmente per questo le sono simpatico, perchè mi sono sempre mostrato disponibile a lasciare loro lo spazio esterno sul prato.

Con la mia borsa di carne, affettati, insalata, pomodori e cavolo capusso sono poi passato all’altro lato della piazza, al bar Sport. Così per caso.  Come per caso vi ho trovato seduti ai tavoli esterni la combriccola di vecchi al completo, il famigerato trio dei cacciatori a salve.

– Ciao Enrico, buongiorno a tutti. Posso offrirvi il caffè?

– Oh, buondì. Qual buon vento? da tanto che non ci si vede. 

Dal bancone hanno sentito e con un cenno di assenso la ragazza era già davanti alla macchina del caffè.

– Enrico, tu che sai tutto, volevo chiederti una cosa. L’altro giorno, facendo il sentiero sull’altro versante della valle, sono passato per una baita, che non sapevo nemmeno esistesse. Ci vive una ragazza mora. Lavinia.

I tre al tavolo si sono guardati dubbiosi.

– Lavinia. Questo nome non mi dice nulla. Se non la vecchia Froner. Quella che viveva all’inizio del paese e che, in effetti, è vero, ora che mi ci fai pensare, aveva un alpeggio di fronte a te, sull’altro lato della valle.

– E che fine ha fatto la “vecchia Froner”? – ero molto curioso di capire perchè questo appellativo, una vecchia. Alla mia splendida morettina. Ero quasi offeso.

– Orpo. La vecia l’èi morta che no te eri neanca bon de caminar. –  Interviene l’altro, in rigoroso dialetto trentino.

– Ma la baita ora chi la tiene? Ha figli? nipoti?

– Che mi sapia, la gaveva doi fioi. Ma i è nadi a viver en zità. A Milan, me par. – mi risponde il colto della compagnia.

– No, no. Aveva una figlia ed una figlio. Ma non si fanno vedere qui da anni. Non credo abbiano ancora qualcosa qui. Avevano venduto tutte le proprietà all’Ermanno.

Non capivo. Ma dovevo capire.

– Scusate, ma la baita che avevano, adesso di chi è?

– La baita non c’è più, sono quattro sassi con il tetto sfondato. Non c’è più nulla.

Non capivo. Ma dovevo capire. Seconda volta.

– Ma allora di chi è quella baita vicina, da quelle parti?  Ci ho visto una ragazza mora. L’altro giorno.

Mi hanno guardato. Si sono guardati tirando su le spalle. Non capivano e mi guardavano sconsolati. Non c’era nessuna baita. Ce n’era una sola, un tempo, ora ridotta ad un ammasso di sassi.

Non ho avuto il coraggio di ribattere. Ma non mi importava. Nel pomeriggio sarei andato alla baita ed avrei risolto la questione. Ma qualcosa non tornava. Non potevo essermi sognato tutto. Forse stavo impazzendo?

E la busta con le foglie per la tisana? Ed il bigliettino? Quelli c’erano, erano reali. Mica me li ero inventati.

E così, nel pomeriggio, sono tornato sul sentiero, alla ricerca della baita. Avevo con me Argo e la cartina della zona. Questa volta ci ho messo poco a trovarla. Ed era come l’avevo lasciata: una baita demolita, con il tetto crollato e le erbacce che ci crescevano dentro. Ma la baita era quella. Ci sono entrato, ho scattato delle foto. La disposizione di porte e finestre era la stessa della casa di Lavinia. Sulla parete di fondo ancora si vedeva il muro che fungeva da mangiatoia.

Confuso. Spaesato, ho provato a fare un giro oltre, ma, in effetti, altre baite in zona non ce n’erano. Mi ero dunque sognato tutto? Che mi era accaduto?

– Lavinia! Lavinia! dove ti sei nascosta? sono io. Ti prego, dove sei finita?

Nessuno mi ha risposto. Ho preso la via di casa. Confuso.

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