Scrivere una lettera è una di quelle cose che si fa solo con le persone alle quali si tiene veramente.
Si racconta che questo sia l’incipit che Sergio Marchionne avesse utilizzato nella lettera inviata a tutti i dipendenti Fiat per spiegare l’Accordo di Pomegliano d’Arco con cui riorganizzava le produzioni italiane chiudendo Termini Imerese. Lacrime e sangue. Un patto tra impresa e lavoratori. Correva l’anno 2010.
Mi è tornata in mente questa frase perchè è davvero bella. Non per la vicenda Fiat, ma perchè credo sia una frase bella e vera. I latini dicevano “verba volant, scripta manent“. Non si è più abituati a scrivere e l’imbarazzo, terrore, vuoto cosmico di un foglio bianco può far cambiare idea a tanti. Ma impugnare una penna, fare un respiro profondo ed iniziare a riempire un foglio bianco è qualcosa di potente. Di terapeutico. Perchè ogni frase è un pensiero, un sentimento, un desiderio, una paura che prende corpo. Ne rimane traccia, indelebile. E talvolta puoi solo, forse, prendere il foglio e stracciarlo in mille pezzi per cancellare ciò che l’inchiostro ha fermato.
L’altra sera sono entrato in baita con la busta di Dafne in mano. L’ho appoggiata sul tavolo. Non sapevo cosa farne. Sembrava pesante, sembrava scottare. Avevo il terrore di leggerci un addio, ma la speranza di trovarci una qualche possibilità di rivederci.
Ho spento le luci, tranne quella sopra la poltrona, nell’angolo biblioteca. Fuori era buio. Argo dormiva sulla sua coperta, per terra, davanti alla stufa. Ho preso un bicchiere e la bottiglia di grappa, quella speciale, quella che avevo riempito di anice stellata, quella che quando toglievi il tappo inondava l’ambiente di un profumo incredibile. Mi sono seduto, con la lettera in grembo ed un coltello in mano. E lentamente ho infilato la lama nella fessura, delicatamente, per aprirla senza strappare la carta. Non aveva profumo, ma io lo sentivo. Un odore di buono, di fresco, di pulito, di bosco.
Dall’interno ho estratto un foglio di quaderno a righe, bianco, piegato in tre, stile busta commerciale. In alto a destra, sul fronte, la data e poi partiva un testo scritto a mano, fitto. Scritto con una penna a sfera nera. Ho annusato. Sapeva di lei. Non particolarmente, a dir la verità. Ma io ne sentivo l’odore. Ho letto la prima frase, impaziente di capirne il tono: “Ti ho visto una sola volta.”. Nessun inizio. Nessun “caro Adam”, “spettabile dottore”, “mio caro amico”. Niente di tutto questo. Diretta e precisa. Non ho resistito ed ho girato il foglio, scritto su entrambi i lati. Volevo leggere la fine. Non avrei accettato un “addio”, oppure “cordiali saluti.” No. Quello no. Finiva con due frasi. “Ti aspetterò“. E poi, a capo: “Se vorrai“. Ed era firmato Dafne. Una bella firma. Grande, inclinata verso l’alto, in obliquio.
Ricordo bene quel libro di grafologia: la firma scritta in obliquo indica una persone positiva e ottimista. Firme inclinate verso l’alto indicano spesso una personalità ambiziosa e lungimirante. Grazie alla loro attitudine positiva, queste persone guardano al futuro con un un sano senso di anticipazione e di eccitazione, pronto a trarre il massimo da ogni nuovo giorno e da ogni nuova sfida.
Nulla di terribile quindi. Anzi. Solo ottimi auspici.
Mi sono riempito il bicchierino di grappa all’anice e me lo sono scolato per metà. Con un sorso. Bruciava la gola, ma lasciava un sapore meraviglioso ed un profumo intenso nell’aria. Ora ero pronto a leggere la lettera. Da principio. Tutta intera, senza salti e senza interruzioni. Senza imbrogli.
Mi sono commosso. Ho sentito gli occhi bagnarsi e le lacrime scorrere lente sul viso. Una sensazione incredibile. Sembrava di leggere i miei pensieri. Era come se qualcuno avesse preso le mie sensazioni e fosse riuscito a metterle su carta. Su quel foglio strappato da un quaderno a righe. Con una penna bic dall’inchiostro nero.
Parlava dell’incontro di due sconosciuti. Dirompente, inaspettato. Potente. Di sguardi rubati ed emozionanti. Di desiderio di rivedersi. Nella lettera mi spiegava della voglia di rivedermi, ma dell’impossibilità di raggiungermi. Non ricordava come tornare alla baita. E poi dell’impegno di lavoro improvviso che la costringevano a tornare di corsa a Verona. Ma dell’intenzione di tornare prima possibile in valle. Per rivedermi.
E mi dava un appuntamento. Si! Solo una persona magica e speciale avrebbe potuto scrivere parole simili: “Impegni improvvisi di lavoro mi hanno costretta a ripartire, ma conto di tornare qui appena possibile. Mi troverai al tramonto esattamente nel punto in cui ci siamo incontrati la prima volta. Al calar del sole mi insegnerai a leggere le stelle e a trovare la stella polare che cerco da tanto tempo. Ti aspetterò. Se vorrai. Dafne”.
Con gli occhi lucidi, commosso ed il cuore che batteva mi sono alzato di scatto gridando “SIIIII!”
Argo si è spaventato, balzando in piedi pure lui ed abbaiando contro la porta d’entrata. Verso il nulla.
“Tranquillo Argo. Sono solo felice.”
Una energia elettrica mi era entrata in corpo. Vibravo come un telefono silenziato. Ero pieno di vita, energia, ottimismo. Mi era addirittura venuta fame. Ho aperto il frigo ed addentato un kaminwurst ed un pezzo di formaggio di malga stagionato. E mi sono seduto al tavolo. Incredulo. Con una birra davanti. Per festeggiare. Per festeggiare il non-abbandono, la notizia di poterla rivedere. Non sapevo quando, ma sapevo che sarebbe successo presto. Perchè lei non lo sapeva, ma io la volevo rivedere. Da pazzi.
Avevo il sospetto che i prossimi sarebbero stati giorni incredibili.
Argo mi guardava incerto.
“Andiamo Argo. Spegnamo tutto. Che devo andare a sognarla“.