Le persone solitarie non sono peggiori delle altre. Hanno semplicemente un modo diverso di vivere e di vedere le cose. Una sensibilità diversa di affrontare il mondo. Hanno differenti attitudini e cercano la pace e la tranquillità in attività che possono facilmente (o prevalentemente) essere svolte in solitudine. Non siamo tutti uguali. Non tutti vivono in una baita tra i boschi a 1.800 metri. Per fortuna. Se così fosse, sicuramente mi sposterei altrove. Si. Sono un solitario. E, magari, sono pure peggiore di altri. Anzi, ne sono assolutamente certo.Ma chi può davvero giudicare? Da che pulpito? Perchè dare sempre giudizi? magari senza nemmeno conoscere tutta la storia. Soprattutto, perchè voler sempre affibbiare etichette, distinguendo tra bianco e nero, destra e sinistra, luce e ombra. Ma quando la gente inizierà a farsi una padellaata di cazzi propri?

“Se sei in grado di di amare, ama prima te stesso”.

E’ una frase di Charles Bukowski, letta, fotografata, memorizzata, ritrovata sulla porta di un bagno in un bar di Roma. Dovrei tatuarmela. Perchè spesso me ne dimentico. Di amare me stesso, intendo. Tendo a pensare prima agli altri ed a mettermi in secondo piano. Un grande errore. A volte le ispirazioni si trovano nei posti e nei momenti più inaspettati. Sono folgorazioni. Lampi di luce che squarciano l’oblio. 

Quando viaggio per lavoro sono sempre attratto dalle frasi sui muri, dai graffiti e, soprattutto, dagli adesivi che sono appiccicati ovunque. Ci avete mai fatto caso? Adesivi apposti su pali, cartelli stradali, semafori, vetrine, porte in metallo, chiusure di contatori o altro. Adesivi colorati, spesso senza alcun significato apparente. Molto curiosi. E poi ci sono le scritte, soprattutto nei bagni dei locali, delle stazioni, dei luoghi pubblici come parcheggi, ascensori o sottopassi. Frasi incredibili, che spesso fanno sorridere se non. addirittura ridere. Altre volte sono profonde e fanno pensare. Tante volte ho trovato aforismi e frasi attribuite a Bukowsky.

Ho letto qualche suo libro, di Bukowsy. Mi piace come scrive. Breve, diretto, semplice e sincero. Fin troppo sincero. Talmente sincero da arrivarti diritto in pancia, come un pugno. Come un calcio nei coglioni. Si, questa era una frase alla Bukowsky.

Mi piace pure il nome. Bukowsky. Richiama un buco, un buco nero, la sua profondità, per la sua assonanza con la parola buco in italiano. E termina con sky, cielo. Un buco profondo come il cielo. In generale mi piacciono le persone con il cognome che termina con sky o ski. Altro  personaggio particolare –  memorabile e consigliato il suo libro manifesto – Theodore John Kaczynski, detto Ted e noto con il soprannome di Unabomber. Un genio della matematica, laureato ad Harvard e successivamente docente universitario a Berkeley. E poi serial killer e terrorista. Uccise tre persone con pacchi bomba e ne ferì 23. I bersagli dei suoi 16 attentati esplosivi hanno sempre a che fare con la tecnologia, con i suoi utilizzi e con tutto ciò che, ai suoi occhi, impone la dinamica meccanica del progresso e la trasformazione della persona in mero ingranaggio di una mega-macchina scollegata dalla natura e dai suoi equilibri. “La società industriale e il suo futuro”, conosciuto ai più come il “Manifesto di unabomber” è un testo che fa pensare, perchè ai tempi in cui fu scritto già pronosticava una società sbagliata in preda e totalmente succube della tecnica e del progresso.

Negli ultimi anni di vita, prima della cattura, Ted si era trasferito in una baracca con una sola stanza di circa 11 mq e due piccole finestre nel Montana, dove viveva con pochi soldi, senza elettricità ed acqua corrente, nutrendosi tramite la caccia e rubando lo stretto necessario.

Non voglio fare un elogio di unabomber, ma posso affermare che aveva capito tante cose. Aveva previsto la deriva che avrebbe preso la società dei consumi quando le tecnologie sarebbero state predominanti su tutto. Ed è quello che sta accadendo ora. Internet e gli smartphone hanno creato una società di coglioni. Si, pure questa è una frase alla Bukowsky.

Tutto questo per dire che quando non trovi la luce, circondato da persone che non capisci, immerso in una società che non comprendi, quando ti rendi conto che i compromessi sono troppi, e che non ti stai amando a sufficienza, quando ciò che pensano e dicono gli altri non è quello che pensi tu, e nemmeno quello che vorresti dire, quando vorresti esplodere e dire che tu non la pensi così, ma sai che non capirebbero, e saresti la pecora nera in un gregge di manti bianchi, bhe, a quel punto, l’unica scelta è “ritirarsi per deliberare”. Come i giudici in tribunale.

Io mi ritiro in baita. Lontano da tutto e tutti. Ricarico le pile. Mi esilio. Un esule dei pensieri. Un eremita dell’intelletto. Ora che ho disdetto pure la rete internet, con il telefono che prende poco, come un pescatore incapace. Me ne sto qui, ad aspettare le foglie che cadono, a vedere il bosco che si colora. A leggere, riflettere, ricaricare le mie pile. Non ho bisogno di altro. Io ed Argo. Il nostro mondo fatto di silenzi, di ritmi naturali. Di libri, letture e buona musica.

Mi manca solo una cosa. Anzi, una persona. Mi manca Dafne, perchè con lei c’era un’affinità incredibile. Le nostre menti lavoravano in simbiosi, senza bisogno di parole o gesti. Tutto era in connessione. Lei si, mi manca. E mi ritrovo a pensare a come può mancare una persona che nemmeno conosci, che hai visto poche volte. Ma mi ritrovo a fantasticare a come sarebbe, a come avrebbe potuto essere passare del tempo con lei. Forse la sto idealizzando. Però mi manca.

Ogni tanto ci siamo scambiati dei messaggi. Lei è sempre molto impegnata. Tre giorni fa mi ha scritto che vorrebbe venirmi a trovare, passare qualche giorno in montagna. Ma purtroppo l’hotel in queste settimane è chiuso. Avrei voluto scriverle che qui da me c’è posto. Lo vorrei tantissimo, ma non ne ho avuto il coraggio. Troppo azzardato. O, forse, troppa paura di fare un passo falso e di ricevere un no. Un no che mi farebbe male perchè sarebbe un no a tutto.

Poi ripenso a Bukowsky. A cosa avrebbe fatto. Lui non ci avrebbe nemmeno pensato. Avrebbe agito d’istinto, coraggioso, sfrontato ed incurante delle conseguenze. Avrebbe preso il telefono e l’avrebbe chiamata. O, forse no. Le avrebbe semplicemente mandato un messaggio semplice diretto, del tipo: “Quando vieni a trovarmi? qui c’è posto anche per te. Ti aspetto.”.

Mi sono alzato ed ho cercato il telefono. L’ho preso in mano e sono uscito all’esterno. Oggi, primo novembre. Festa. Che freddo, circa 5 gradi. Ho riaperto la chat di Telegram, quella con Dafne. E senza pensarci le ho scritto quello che avrebbe scritto Bukowsky. C’era campo ed il messaggio è partito immediatamente. E le due spunte azzurre sono comparse altrettanto immediatamente.

Sono rientrato in baita, dentro ai muri di sasso così spessi da impedire di prendere la rete. Non volevo aspettare la risposta. Non sono certo che Bukowsky avrebbe scelto di temporeggiare. Forse avrebbe replicato il messaggio, mandandolo ad ogni nome femminile presente in rubrica. Ma io non sono Bukowsky. Sono solo uno che vede le cose in maniera diversa. Sono oltre. Oltre le nuvole. Talmente in alto da non vedermi più nemmeno i piedi.

 

 

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