Torno a scrivere dopo tanto tempo. Sono stato impegnato, in mille faccende affaccendato, ed ammetto di aver trascurato un po’ troppo queste pagine. Non che non avessi nulla da dire o da raccontare, tutt’altro, ma non sempre sono riuscito a trovare il momento giusto. La mia vita in questi mesi è un torrente in piena ed io una piccola corteccia di legno buttata nell’acqua da un bambino. Schivo le rapide, mi immergo, risalgo, corro veloce fino alla prossima cascata ed al prossimo vortice che mi porta giù, ma poi rivedo sempre il cielo.
Questo pomeriggio mentre rientravo agli ottanta all’ora sotto un diluvio universale in autostrada con la mia piccola Jimny blu – ebbene si, ho sostituito il vecchio defender con una relativamente più moderna piccola Jimny blu elettrico – ho riflettuto a quante cose non ho più scritto. Per me scrivere è sempre stato più una necessità che uno sfogo. Ho bisogno di fissare le idee, di bloccarle per poi riprenderle, ampliarle, rivederle, abbellirle e ricostruirle. Sono sempre stato così, un vortice di idee e di curiosità. Noto tutto e da un piccolo spunto o dettaglio, spesso, ho costruito storie immaginarie ricche di eventi. Ero così da piccolo e tale e quale mi ritrovo ora con mezzo secolo di vita addosso.
In autostrada ho riflettuto sulla vita. Sulla mia e sul vivere in generale. E mi è tornato in mente un prete. Una predica. Un funerale. Qualche mese fa in quell’omelia il prete ha citato una frase che diceva all’incirca così: “tutti prima o poi muoiono, ma quanti, in punto di morte, possono dire di aver davvero vissuto“? Mi è rimasta in mente, l’ho percepita, pensata e mi ha fatto riflettere. Oggi in autostrada, agli ottanta all’ora dietro ad un tir, sotto ad una pioggia battente che a tratti non mi permetteva nemmeno di vedere i due fari rossi che mi stavano davanti, ho riflettuto a quanti non vivono la vita. E se la vivono, spesso, non è la loro. Si fanno guidare dagli altri, dagli eventi, dalle consuetudini, dal “si è sempre fatto così, perchè cambiare, tutti fanno così“. E’ una trappola. Se questa fosse la sceneggiatura di un film scriverei che questa impostazione è una fottuta trappola.
Per vivere davvero bisogna avere il coraggio di cambiare, di rischiare e di accettare di sbagliare. L’antitesi della vita non è la morte ma l’immobilismo. La paura che blocca, terrorizza e ci impedisce di muoversi. Fermi, incapaci di osare, di rischiare. Di accettare il diverso e commettere gli errori, forse gli unici che davvero ci fanno crescere e ci permettono di migliorare. Bisogna rischiare, evolvere, cercare il diverso, il non fatto, puntare verso tutto ciò che non si conosce, tutto ciò che spesso, proprio perchè sconosciuto, ci atterrisce.
Gli ultimi anni, per chi scrive, sono stati terribili. Sono stato disperato, annientato e azzerato. Ma non ho mai avuto paura. Non ho avuto paura di vivere. Ho vissuto, male, ma ero vivo. E poi le cose hanno preso una strada diversa, quella che avrebbero dovuto prendere prima, se avessi avuto il coraggio di affrontare le questioni da risolvere. Ho sbagliato, a temporeggiare e non comunicare. Poi ho capito, ho risolto. Ho deciso di vivere, di vivermela tutta, di ricercare la bellezza e la felicità.
Ora sto vivendo. Vivo ogni giorno e ringrazio un Dio, se esiste, e spero che esista, di potermi svegliare ogni mattina dicendo “che mi capiterà di bello e di nuovo oggi?”