Fine settimana di baldoria, incontri, chiacchiere, bevute e avannotti amorosi.
Venerdi nel primo pomeriggio si presenta alla porta l’amico Ramon, con scarponi azzurri ai piedi, uno zaino arancio da arrampicata sulle spalle, bermuda rosse e maglietta gialla. Un pugno nell’occhio a vederlo. Ho avuto una visione di Goethe, cui si deve un grande saggio sulla teoria dei color, rivoltarsi nella tomba. E per me, un principio di conato trattenuto a stento, dovuto al pugno ricevuto nel mio istinto estetico. Sembrava essersi vestito con una bandiera della pace. Quelle sparite, ora, che la guerra c’è davvero alle porte.
Erano circa le due del pomeriggio di una splendida giornata di primavera, forse la prima vera giornata di sole caldo dell’anno. In questi giorni lassù la neve si sta sciogliendo in fretta ed i primi bucaneve hanno già invaso i prati dall’erba marrone, ancora dormiente sotto la coltre bianca dell’inverno.
“Che posto fantastico. E che baita da sogno. Questo panorama da solo riassume il frutto delle mie ricerche. Ma cosa ho studiato a fare? Bastava venire qui prima per scoprire il segreto del vivere in montagna!”
“Hey, ciao Ramon. Grazie! felice di vederti”
Argo, dopo averlo squadrato con diffidenza, ha trovato il coraggio di avvicinarsi, di annusarlo ovunque e di farsi pure accarezzare. Poi è corso nel prato con il naso basso, seguendo una traccia misteriosa. In questi giorni credo stia puntando ad Olga, la talpa, che si è fatta viva creando piccole montagnole di terra scura nel prato.
“Posso offrirti qualcosa? bevi un caffè? una birra? un bicchier d’acqua? da che ci fermiamo fuori al sole, che oggi è una splendida calda giornata. Sembra estate.”
“Ma certo, con piacere! La camminata per venire quassù mi ha proprio messo sete.”
L’ho invitato a sedersi fuori sul tavolo in legno e, poco dopo, lo ho raggiunto con una caraffa d’acqua fredda, due birre ed una bottiglia di vino rosso. Un secondo viaggio per un tagliere con speck, formaggi vari, cren (da lacrime nel naso), pane duro e qualche cetriolino sottaceto.
“Grazie! Grazie” Un servizio degno di un ristorante cinque stelle. Non serviva”
“Certo che serviva. Vedrai come spazzoleremo via tutto” – risposi ridendo e sedendomi affianco a lui, per rimanere entrambi con la faccia al sole.
“Che posto splendido. Ispira poesia. Posti del genere ti fanno sentire piccolo. E ti fanno capire cosa ha ispirato certi artisti, scrittori, poeti, pittori, musicisti” – era davvero estasiato. Ed io lo capivo. Lo capivo ogni santo giorno. Ogni benedetta mattina quando Argo, puntuale alle sei e mezza, arriva affianco al mio letto ed appoggia il muso sul materasso. Lo sento che arriva. Lo sento vicino e mi sveglio, aprendo gli occhi con suoi occhi che mi guardano a pochi centimetri. Tutte le mattine. Alla stessa ora. Ed allora mi alzo, apro gli scuri e guardo fuori. E la bellezza del panorama, del bosco, delle cime e dei prati mi stupisce ancora.
“John Keats ha scritto: “Solitudine, se devo vivere con te, sia almeno lontano dal mucchio confuso. Delle case buie; con me vieni in alto, dove la natura si svela, e la valle, il fiorito pendio, la piena cristallina del fiume appaiono in miniatura” – recitata a memoria – “Una poesia splendida che mi è tornata in mente la prima volta che sono salito in questo posto. E non mi ha più lasciato.”
“Mi avevano avvisato, giù in paese, che eri la persona giusta per comprendere la vita qui in montagna. Mi hanno detto che sei qui da pochi anni, che non sei in realtà nato qui. Ma lavori da qui? che lavoro fai? di cosa ti occupi?”
Il tempo è volato. Come previsto, senza rendercene conto abbiamo finito la brocca d’acqua, le birre, spazzolato il tagliere quando, in procinto di passare al vino, la nostra attenzione è stata attratta da argo che correva attraversando in prato in direzione del sentiero. Una ragazza saliva a passo lento puntando lo sguarda a noi, alla baita ed al cane che le correva addosso. Si fermò abbassandosi per salutare Argo che, intese le buone intenzioni, iniziò a farsi accarezzare scodinzolando.
“Oh, si è fatto tardi. Aspettavi visite, ora me ne vado” – disse Ramon improvvisamente serio.
“No, macchè dici. Non aspetto visite. E non conosco quella ragazza” – risposi alzandomi e richiamando Argo.
“Buongiorno! Scusate, spero di non disturbare. Sto cercando il signor Adam. Dovrebbe essere questa la sua casa se ho capito bene le indicazioni. Anche del cane mi hanno parlato” – La ragazza era sempre più vicina alla casa, scortata a pochi metri da Argo – “Sono Martina Lamberti, sono una giornalista di StudioPress e delle riviste Vanity Fair e Elle. Cercavo il signor Adam.”
“E cosa potrebbe fare per lei il signor Adam? Casomai lo provo a chiamare. ”
Arrivata al tavolo, leggermente trafelata, salutò Ramon con un sorriso caldo e sincero, ricambiata con un leggero imbarazzo. Colpito il buon Ramon. Era davvero carina. Raggiante, capello castano, modi gentili ma decisi. Un bel corpo atletico. Molto donna e molto decisa.
“Mi sto occupando di un’inchiesta sulle persone che cambiano vita, mollano il lavoro, la città, la routine e si spostano in montagna. In paese mi hanno detto che il signor Adam è la persona giusta. Sa quando torna e come posso contattarlo?”
Da dietro Ramon mi guardava divertito e impaurito. Divertito perchè capiva che quella tizia cercava me, che sostenevo il gioco di non essere io. Impaurito, a mio avviso, ma difficilmente sbaglio queste cose, perchè temeva che volessi congedare la bella Martina così velocemente.
“Posso offrirti qualcosa? acqua ? vino? birra? succo di sambuca? hai fame? intanto siediti che vediamo se riesco a contattare il signor Adam”
“Faccio io, ti do una mano” – Ramon si era alzato, deciso a fare gli onori di casa, ed aveva allungato la mano verso Martina – “Piacere. Io sono Ramon. Ramon Rodriguez Perez. Vengo da Saragozza. Spagna. Sono un ricercatore.”
“Oh, e cosa ricerchi di bello? di cosa ti occupi?”
“Ricerco il signor Adam. Anche io sono alla ricerca del signor Adam. E’ una specie di santo Graal, una specie di leggenda, qualcuno dice che sia come il mostro di Lockness o Bigfoot. Tante voci, ma nessuno l’ha forse mai visto davvero” – brillantissimo amico spagnolo. Evidentemente le birre ed i bicchieri di vino lo avevano carburato a dovere.
“Interessante. Potrei cambiare inchiesta e buttarmi in questa specie di Chi la visto?. ”
La risata di entrambi mi raggiunse mentre preparavo un altro tagliere, dopo aver riempito la brocca di acqua fresca. Il sole stava tramontando dietro le cime ed a breve la temperatura sarebbe scesa velocemente.
“Ho sentito il signor Adam, dice che ritarda, ma che posso rispondere io ad eventuali domande. Nel frattempo, dice di spostarsi all’interno, perchè tra qualche momento, sparito il sole, il fresco della sera sostituirà il caldo di questa soleggiata giornata primaverile.”
E fu così che passammo una incredibile, splendida serata di chiacchiere, risate, discussioni filosofiche e considerazioni sul mondo che cambia. Ramon e Martina erano in grande simpatia. A loro agio e come se si conoscessero da sempre. Certe cose si colgono. Riempiono l’aria, la elettrizzano e la riempiono di quella tensione erotica tanto rara quanto preziosa. Alle due di notte eravamo ancora seduti a mangiare, bere e discutere. Giornalista e ricercatore si resero conto di stare investigando lo stesso fenomeno, seppur da punti di vista ed approcci diversi. Li lasciavo parlare, rispondevo alle loro domande, li stuzzicavo e provocavo, in una specie di grande brainstorming. Alla fine la questione era semplice, ovvero una vera e propria critica alla società moderna, fatta di consumismo, valori perduti, arroganza, tanto lavoro inutile, tanto stress. Dei piccoli criceti sempre di corsa sulla ruota. Lavoro, lavoro, soldi, consumi, tecnologie inutili, poco tempo per fare ciò che uno vorrebbe fare. Vite non vissute. Vite recitate in copioni che qualcun altro ha scritto. E la gente sempre a rincorrere. Sogni di altri. Sogni falsi che non creano bellezza e benessere, ma aspettative tradite e false illusioni. Per poi rendersi conto, come la nostra serata, che è subito sera ed in un baleno tutto finisce. Lasciandoci spesso solo pieni di rimpianti e rimorsi, dandosi dei coglioni per non aver avuto il coraggio di vivere la nostra vita, quella per cui siamo caduti su questa terra.
Erano quasi le due quando salutai i miei nuovi amici. L’accordo era di rivederci il giorno seguente a pranzo, qui da me in baita. Con Argo li seguii con lo sguardo attraversare il prato ed illuminare il sentiero con una pila. Camminando vicini vicini, in una sorta di timido abbraccio. Speriamo mano nella mano. Pensai agli avannotti. Piccoli girini che forse, magari, può darsi, potranno diventare rane. Salutai cupido e me ne andai a letto. Felice.